RAGGIUNTA L’INTESA IN CONFERENZA UNIFICATA SUL RIORDINO DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI DI RILEVANZA ECONOMICA

La Conferenza Unificata, presieduta dal Ministro per gli Affari Regionali e le Autonomie, Calderoli, nella seduta del 30 novembre 2022 ha esaminato, tra l’altro, ai sensi dell’articolo 8, comma 3, della legge 5 agosto 2022, n. 118, lo schema di decreto legislativo di riordino della materia dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, raggiungendo l’Intesa sul testo presentato.

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I COMUNI POSSONO ESERCITARE ANCHE I SERVIZI DI INTERESSE ECONOMICO E GESTIRLI CON LA PROPRIA ORGANIZZAZIONE

Il TAR Liguria, Sez. I, con una sentenza del 9 novembre 2021, n. 946 è intervenuto sull’annoso problema della gestione dei servizi comunali decidendo che anche quelli a rilevanza economica possano essere gestiti direttamente dal Comune con la propria organizzazione e il proprio personale.

Si tratta di una sentenza molto interessante che innova su una materia molto importante.

In particolare il Collegio ha affermato quanto segue:

“…per quanto concerne il quadro normativo nazionale (artt. 112 e 113 del d.lgs. n. 267/2000), è pacifico che attualmente non sussiste alcun obbligo degli enti locali di affidare a terzi sul mercato i servizi pubblici di rilevanza economica, potendo senz’altro optare per la gestione in via diretta (tale assunto è oggi unanimemente condiviso, essendo venuta meno l’originaria previsione che consentiva l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica solamente a società miste o ad imprese private selezionate con gara, oppure, in presenza dei relativi presupposti, ad enti in house: sul punto cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 27 maggio 2014, n. 2716; Cons. St., sez. VI, 18 dicembre 2012, n. 6488, cit.; T.A.R. Lazio, sez. II-ter, 22 marzo 2011, n. 2538).

Né un simile obbligo è rinvenibile nel diritto europeo, che configura la gestione diretta o tramite società in house come modulo generale alternativo all’affidamento a terzi mediante selezione pubblica.

Segnatamente, il quinto “considerando” della direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici precisa che “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici”.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2, par. 1, della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, “le autorità nazionali, regionali e locali possono liberamente organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione…Dette autorità possono decidere di espletare i loro compiti d’interesse pubblico avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli a operatori economici esterni”.

È peraltro vero che, ai sensi dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, per affidare ad una società in house un contratto avente ad oggetto un servizio remunerativo, l’Amministrazione deve dare conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato e dei benefici per la collettività. Come noto, infatti, il legislatore nazionale ha approntato una disciplina pro concorrenziale più rigorosa rispetto a quanto richiesto dalla normativa comunitaria, in quanto non limitata a garantire la concorrenza “nel mercato” attraverso le procedure competitive, ma estesa alla concorrenza “per il mercato” attraverso il predetto onere motivazionale (cfr., ex aliis, Corte cost., 27 maggio 2020, n. 100).

Tuttavia, tale supplementare obbligo di motivazione non pare estensibile all’internalizzazione pura e semplice del servizio pubblico, ossia con assunzione della gestione direttamente in capo agli uffici comunali, in quanto non espressamente previsto dalla citata disposizione, né ricavabile dal diritto dell’Unione (sul punto si veda Corte di Giustizia UE, 9 giugno 2009, C-480/06, secondo cui un’autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza fare ricorso ad entità esterne, non contrastando tale modalità con la tutela della concorrenza, poiché nessuna impresa privata viene posta in una situazione di privilegio rispetto alle altre).

Sotto altro profilo si osserva che la gestione diretta del bene demaniale da parte dell’Amministrazione è la modalità fondamentale per garantirne l’uso generale, che, a sua volta, costituisce la regola (in tal senso Cons. St., sez. V, 2 marzo 2018, n. 1296, relativa proprio ad un porticciolo turistico, secondo cui una condivisibile giurisprudenza ha ripetutamente individuato la finalità basilare dei beni pubblici come funzione di interesse generale e ciò specificamente per quei beni che assolvono la propria funzione sociale servendo immediatamente non la pubblica amministrazione, ma la collettività ed in particolare i suoi componenti che sono ammessi a godere indistintamente in modo diretto: tale uso è denominato uso generale e la gestione diretta da parte del titolare del bene demaniale – quello marittimo ne è un esempio tra i più tipici – costituisce l’estrinsecazione fondamentale per garantire alla collettività il predetto uso generale”).

In proposito, il Collegio non ignora che, secondo una ricostruzione interpretativa, nella fattispecie in esame non potrebbe configurarsi un uso generale del bene demaniale, non essendovi un godimento indiscriminato da parte della cittadinanza (come avviene, ad esempio, per le spiagge libere): donde risulterebbe necessaria la procedura comparativa ex art. 37 cod. nav. anche laddove l’Amministrazione intenda gestire direttamente il porticciolo. Diversamente, l’ente può sempre assumere in capo a sé l’esercizio dei beni del patrimonio indisponibile, quali gli impianti sportivi di proprietà comunale, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma, cod. civ.

Deve tuttavia evidenziarsi che, negli anni più recenti, è stata elaborata una nozione unitaria di “bene pubblico”, che ricomprende entrambe le categorie dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili e si caratterizza per la “vocazione” a soddisfare interessi generali (c.d. proprietà-funzione).

In tale prospettiva, la prospettata differenziazione fra le due tipologie di beni, ai fini della scelta delle modalità di gestione, si appalesa, a ben vedere, ingiustificata ed irragionevole.

IL GOVERNO ITALIANO CONFERMA LA SUA LINEA DURA CON BRUXELLES

Con un asciutto comunicato ieri sera Palazzo Chigi ha informato che il Consiglio dei Ministri si è riunito  alle ore 20.57, sotto la presidenza del Presidente Giuseppe Conte. Segretario il Sottosegretario alla Presidenza Giancarlo Giorgetti.

Il Consiglio dei Ministri, tenuto conto della lettera ricevuta dalla Commissione europea il 23 ottobre scorso, ha condiviso i contenuti della risposta predisposta dal Ministro dell’economia e delle finanze Giovanni Tria di cui si darà conto nel documento programmatico di bilancio 2019.

Qui il testo della nota inviata:  Lettera inviata alla commissione europea

Notevoli preoccupazioni dall’interno e dall’estero. La Commissione europea ha preannunciato la sua risposta per mercoledì stesso.

E’ LEGITTIMO SCORAGGIARE CHI NELL’OFFERTA PREVEDE DI SUBAPPALTARE PARTE DELLE OPERE

TAR TORINO
TAR TORINO

Il TAR di Torino ha emesso una sentenza (n. 578/2018) che farà molto parlare e che, a mio avviso dovrebbe spingere alcuni amministratori a valutare l’opportunità di imitare quanto fatto dalla stazione appaltante.

Con bando di gara pubblicato sulla G.U.U.E. n. S/223 del 18/11/2016 la S.M.A.T. S.p.A ha indetto una gara per l’affidamento del servizio di recapito postale delle bollette e dei solleciti di pagamento agli utenti di SMAT S.p.A. , CIG 681956965D, con un importo a base di gara pari a 2.330.000,00 IVA esclusa e di durata biennale.

Il criterio di aggiudicazione prescelto era quello della offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo e prevedeva l’attribuzione di 55 punti agli elementi qualitativi e di 45 punti all’offerta economica, secondo i criteri stabiliti dal disciplinare. In particolare, il punto 4 del disciplinare, recante i “Criteri di aggiudicazione” prevedeva l’assegnazione di massimo 10 punti per i concorrenti che intendessero avvalersi della facoltà di subappaltare parte del servizio in quota inferiore al massimo consentito. Il Capitolato speciale (all’art. 21.5.) ed il Disciplinare (all’art. 2.2.3.) prevedevano altresì che i concorrenti dovessero indicare all’interno dell’offerta tecnica la specifica quota percentuale da subappaltare. Il disciplinare di gara (punto2.1.1.8.2.) stabiliva ancora che, nella compilazione del DGUE, “il concorrente dovrà esplicitamente dichiarare: i) quali parti del servizio sia eventualmente intenzionato a subappaltare, nei limiti ed alle condizioni previste dall’art. 105 d.lgs. 50/2016, dal Capitolato speciale d’Appalto e dal presente Disciplinare”.

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Dimostrazione della copertura del costo dei servizi per l’anno 2017 per gli enti in condizione di deficitarietà strutturale ed enti equiparati dalla normativa

viminale2-550Il Ministero dell’Interno con decreto in data 28 aprile ha approvato gli allegati certificati per comuni nonché per province, città metropolitane e comunità montane che si trovano in condizione di deficitarietà strutturale ai sensi dell’art. 242 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, che costituiscono parte integrante del presente decreto, concernenti la dimostrazione, sulla base delle risultanze contabili dell’esercizio finanziario 2017, della copertura del costo complessivo di gestione dei servizi a domanda individuale, del servizio per la gestione dei rifiuti urbani e del servizio di acquedotto.

Gli enti locali di cui all’art. 243, comma 6, del citato decreto legislativo n. 267 del 2000, sono soggetti alla presentazione della certificazione del costo dei servizi nel caso in cui permanga, alla data indicata al successivo art. 2, la condizione di assoggettamento ai controlli centrali.

Gli enti locali di cui all’art. 243, comma 7, dello stesso decreto legislativo n. 267 del 2000, che hanno deliberato lo stato di dissesto, sono tenuti alla presentazione della certificazione per tutto il quinquennio di durata del risanamento di cui all’art. 265,
comma 1, del medesimo decreto.

I comuni, le province e le città metropolitane che hanno fatto ricorso alla procedura di riequilibrio finanziario pluriennale prevista dall’art. 243-bis del predetto decreto legislativo n. 267 del 2000 sono tenuti alla presentazione della certificazione per tutto il periodo di durata del piano di riequilibrio finanziario pluriennale.

ALLEGATI

 

 

 

LA RISTORAZIONE SCOLASTICA E IL REQUISITO DEL CENTRO DI COTTURA

GNA TAR,TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE NAPOLI
(SUD FOTO)

Il tema della ristorazione scolastica tiene spesso impegnati gli amministratori locali.

Un aspetto preliminare a tutti è quello della scelta della società cui affidare il servizio, visto che oramai tutti i Comuni hanno scelto di esternalizzarlo (una scelta spesso dovuta a causa del blocco delle assunzioni e dell’obbligo di legge di affidare all’esterno i servizi prevista dalla L.448/2001-Art. 24, Patto di stabilità interno per province e comuni, comma
8, secondo cui  «Gli enti…devono promuovere opportune azioni dirette ad attuare l’esternalizzazione dei servizi al fine di realizzare economie di spesa e migliorare l’efficienza gestionale»

Sulla richiesta del centro di cottura prima dell’aggiudicazione di una gara per l’affidamento del servizio di refezione scolastica.

Molte amministrazioni inseriscono nel capitolato l’obbligo per la ditta di disporre di un centro cottura nel territorio comunale, ma questo non è legittimo.

Il TAR Campania, napoli, Sezione II, con la sentenza n. 2083/2018 afferma che nell’ambito di una procedura di gara per l’affidamento del servizio di refezione scolastica, la disponibilità del centro di cottura deve qualificarsi come un requisito di esecuzione del contratto e non di partecipazione alla gara, come peraltro affermato dall’Autorità nazionale anticorruzione alla luce dei principi di libera concorrenza, libertà di stabilimento, libera prestazione dei servizi e parità di trattamento, ragion per cui la mancata dimostrazione del possesso di tale requisito non può costituire motivo di esclusione dalla gara. Peraltro il concorrente deve dichiarare, in fase di partecipazione alla gara, esclusivamente l’impegno alla disponibilità di un centro di cottura ma non già l’effettiva disponibilità di esso (da comprovare, invece, in caso di aggiudicazione): diversamente, infatti, si configurerebbe una violazione sia del principio di non discriminazione, sia del principio di parità di trattamento richiamati dall’art. 2 del Codice dei contratti pubblici e, altresì, dei principi cardine del Trattato CE e delle Direttive appalti, producendo un iniquo vantaggio agli operatori economici già operanti sul territorio di riferimento e determinando, a causa della richiesta capacità organizzativa aggiuntiva per l’impresa, un elemento di distorsione dei costi del partecipante alla procedura di gara.

Qui la sentenza:  TAR NAPOLI SEZ II 2083/2018

STRATEGIA NAZIONALE PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

wcms_486800Nella seduta del 16 marzo il Consiglio dei Ministri ha approvato una Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri recante indirizzi per l’attuazione dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e della strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile.

Su proposta del Presidente Paolo Gentiloni il Consiglio dei Ministri ha condiviso la direttiva che affida alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il coordinamento delle politiche economiche, sociali e ambientali idonee al raggiungimento, entro il 2030, degli obiettivi indicati nella Strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile, istituendo e disciplinando a tal fine una apposita “Commissione nazionale per lo sviluppo sostenibile”, presieduta dal Presidente del Consiglio o da un suo delegato.

L’Agenda Horizon 2030 rappresenta la sfida per gli enti locali per i prossimi dodici anni.

Si tratta di un documento molto complesso che tocca tutte le competenze dei comuno.

L’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO DELLA CORTE DEI CONTI

ag_2018_03È stato inaugurato ieri, alla presenza del Presidente della Repubblica e delle massime autorità dello Stato l’anno giudiziario della Corte dei conti.

Dopo l’ampia RELAZIONE DEL PRESIDENTE BUSCEMA ha preso la parola il procuratore generale Avoli il quale nella sua  RELAZIONE ha tra l’altro affermato: “La globalizzazione e la diffusione degli strumenti di comunicazione sociale hanno inciso in modo irreversibile sui tradizionali assetti dei rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione e sulle aspettative delle collettività territoriali a poter fruire di servizi di qualità, continuamente aggiornati al divenire del tempo”.

Ma gli elementi più interessanti sono contenuti nella RELAZIONE DELLA PROCURA GENERALE che trattando delle amministrazioni locali scrive:

“Diffusa, su ampia parte del territorio nazionale, si è rivelata essere la “consuetudine” di
amministratori locali, soprattutto regionali, di utilizzare, per scopi personali, i fondi messi a disposizione dei gruppi politici di appartenenza, dalle varie Leggi regionali. Si tratta di una fattispecie che ha impegnato non poco le Procure regionali (e, conseguentemente, le Sezioni Giurisdizionali sul territorio) e le cui attività istruttorie, in parallelo con quelle penali – che hanno contestato il reato di peculato – hanno consentito di apprezzare come i rappresentati, celandosi dietro le argomentazioni più varie, tra cui in particolar modo le “spese di rappresentanza”, avessero inteso come pienamente fruibili le somme messe a disposizione per l’esercizio della loro attività istituzionale (o meglio del gruppo di appartenenza), utilizzandole non solo in occasione dei loro impegni sul territorio (ristoranti, bar, ecc…) ma anche per l’acquisto di generi che, intuitivamente, nulla avevano a che fare con tale funzione (borse per la moglie, tabacchi, profumi, gratta e vinci, ecc.)”

Si va dai dirigenti di un Comune che sono stati citati a giudizio per omessa attività di recupero della Tarsu per oltre 4,4 milioni di euro, ad un altro Comuni in cui è stato evidenziato un danno di oltre 25,3 milioni di euro per una vicenda legata al circuito dei rifiuti solidi urbani.  Altrove è stato accertato un rilevante danno erariale per illegittimi conferimenti di incarichi di consulenza. Ancora sono stati scoperti casi di omessi  introiti di sanzioni amministrative stradali annullate per gravi carenze motivazionali.

Molto rilevanti sono ancora i procedimenti legati ai prodotti finanziari derivati.

UNA SEGNALAZIONE DELL’ANAC IN MARITO AL “CONTROLLO ANALAGO” SULLE SOCIETA’ IN HOUSE DELLE AMMINISTRAZIONI STATALI

anac-zzzL’ ANAC con l’atto di Atto di segnalazione n. 4 del 29 novembre 2017  (Approvato dal Consiglio dell’Autorità con delibera  1209 del 29 novembre 2017), ma  pubblicato solamente nei giorni scorsi sul sito web è intervenuta in merito al problema delle società in  house delle amministrazioni dello Stato e il controllo analogo alla luce dell’art. 9, comma 1, d.lgs. 19 agosto 2016, n. 175.

La questione riguarda le modalità di assicurare il c.d. “controllo analogo”.

In ragione delle incertezze interpretative e applicative derivanti dal quadro giuridico esistente, l’Autorità ha ritenuto opportuno manifestare l’opportunità che si debba prevedere l’adozione di un atto normativo regolamentare a carattere ricognitivo delle società in house delle amministrazioni dello Stato su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze e dalle amministrazioni interessate, che individui, con riferimento a ciascuna delle suddette società, le attività svolte e il Ministero o i Ministeri competenti per materia che esercitano, ai fini di cui agli articoli 5, commi da 1 a 5, e 192 del Codice dei contratti pubblici, il controllo analogo in forma congiunta con il Ministero dell’economia e delle finanze ai sensi dell’art. 9, comma 1, del T.U. in materia di società a partecipazione pubblica.

Al riguardo, secondo l’ANAC  potrebbe eventualmente ipotizzarsi una formulazione come la seguente:
«Con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge su proposta del Ministero dell’economia e delle finanze e dalle amministrazioni interessate, sono individuati, con riferimento a ciascuno degli enti in-house delle amministrazioni dello Stato, i Ministeri competenti per materia che esercitano, ai fini di cui agli articoli 5, commi da 1 a 5, e 192 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, il controllo analogo in forma congiunta con il Ministero dell’economia e delle finanze. Con lo stesso decreto sono configurati i poteri di controllo analogo e sono individuate le attività che gli enti strumentali svolgono a favore delle amministrazioni controllanti»

LA STAZIONE APPALTANTE HA IL DOVERE DI STIMARE IL VOLUME DI RICAVI CHE IL SERVIZIO PUO’ GENERARE MA IL RISCHIO D’IMPRESA RESTA A CARICO DEI CONCORRENTI

Tar-CatanzaroIl TAR Calabria, Catanzaro, Sez. I,  con sentenza del 25 ottobre 2017, n. 1600 ha ritenuto che nel caso di appalto di pubblici servizi la stazione appaltante ha il dovere di stimare il volume dei ricavi che il servizio può generare, allo scopo di orientare gli operatori economici circa la dimensione economica del servizio da affidare.

Tuttavia l’operatore economico resta libero, assumendosi il rischio imprenditoriale, di organizzare i propri mezzi e l’offerta del servizio, allo scopo di massimizzare il guadagno derivante dalla concessione.

Il TAR ha richiamato i principi sviluppati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea, la quale ha chiarito che il rischio di gestione economica del servizio deve essere inteso come rischio di esposizione all’alea del mercato, il quale può tradursi nel rischio di concorrenza da parte di altri operatori, nel rischio di uno squilibrio tra domanda e offerta di servizi, nel rischio d’insolvenza dei soggetti che devono pagare il prezzo dei servizi forniti, nel rischio di mancata copertura integrale delle spese di gestione mediante le entrate o ancora nel rischio di responsabilità di un danno legato ad una carenza del servizio.

La giurisprudenza ha chiarito da tempo che l’obbligo per l’amministrazione concedente di indicare il valore della concessione non trasferisce il rischio d’impresa dal concessionario all’amministrazione, con conseguente stravolgimento di quello che è lo specifico della concessione di servizi rispetto all’appalto.

Invece, rischi come quelli legati ad una cattiva gestione o ad errori di valutazione da parte dell’operatore economico non sono determinanti ai fini della qualificazione di un contratto, come appalto pubblico o come concessione di servizi, dal momento che rischi del genere, in realtà, sono insiti in qualsiasi contratto, a prescindere dal fatto che quest’ultimo sia riconducibile alla tipologia dell’appalto pubblico di servizi ovvero a quella della concessione di servizi.

Pertanto il Collegio ha elaborato il seguente principio di diritto in forza del quale, colui che partecipa ad una gara per una concessione di servizi, può formulare un’offerta ipotizzando che la gestione del servizio consenta la realizzazione di ricavi più ampi di quelli stimati dall’amministrazione concedente e da questa indicati nella legge di gara, assumendosi, però,  il rischio delle proprie valutazioni.