IL COSTO DEL LAVORO PUBBLICO DEL 2017 IN BASE AI DATI DEL CONTO ANNUALE DELLA P.A.

La Ragioneria Generale dello Stato ha pubblicato i risultati della rilevazione “Conto Annuale” relativi all’anno 2017 sul sito ww.contoannuale.mef.gov.it. Il Conto Annuale espone i dati sulla consistenza e i costi del personale delle Pubbliche Amministrazioni e costituisce la fonte ufficiale di informazioni per le decisioni in materia di pubblico impiego da assumere nelle sedi istituzionali.

La pubblicazione del conto annuale 2017 avviene con l’obiettivo di avvicinare il più possibile l’esperienza della navigazione dei dati alle necessità conoscitive degli utenti.

Le tematiche trattate sono le stesse degli anni precedenti, ma sia la veste grafica sia la flessibilità con cui i dati possono essere interrogati sono stati interamente rivisti. E’ ora possibile per l’utente inserire dei filtri che permettono delle selezioni multiple su tutte le variabili di interesse e modificare l’ordine di visualizzazione delle variabili stesse. I grafici presenti sulle pagine sono tutti interattivi e si modificano in funzione delle scelte impostate dall’utente. L’apparato di analisi e commento dei dati è stato notevolmente potenziato con nuovi approfondimenti sui comparti e su specifiche tematiche.

Metà del costo complessivo è equamente suddiviso fra i comparti della Scuola e della Sanità, mentre tutti gli altri comparti concorrono a formarne l’altra metà. Questa composizione è stabile nel tempo, con variazioni da un anno all’altro di qualche decimo di punto. Mutamenti significativi nella distribuzione del costo del lavoro avvengono solo in intervalli di tempo ampi3 . Rispetto alla spesa del 2016, le variazioni più significative hanno riguardato la Scuola, che ha incrementato il suo peso sul totale della spesa di quattro decimi di punto percentuale, e i comparti Sicurezza – Difesa e Università che hanno avuto incrementi minori. Tali incrementi sono stati bilanciati dalla contrazione della quota relativa agli enti del comparto Regioni ed autonomie locali che, considerando anche gli enti che applicano i contratti delle Regioni a statuto speciale, hanno perso quasi mezzo punto percentuale. Contrazioni di minore entità si sono avute anche per i Ministeri, gli Enti pubblici non economici e la Sanità. La quota percentuale dei Corpi di polizia nel 2017 ha superato il massimo del decennio raggiunto l’anno precedente, mentre il trend di crescita delle Forze armate registrato negli ultimi anni rimane appena al di sotto del massimo toccato nel 2011. Nonostante l’ingresso dei nuovi enti nella rilevazione che ha diluito la concentrazione della distribuzione, sull’intero decennio sia i Corpi di polizia sia le Forze armate hanno assorbito oltre un punto percentuale in più rispetto alla spesa del 2008. In buona parte ciò è dovuto all’aumento della spesa riconducibile alla fine del blocco, nel 2015, degli effetti economici delle progressioni di carriera comunque denominate4 che ha consentito il riallineamento fra la posizione giuridica acquisita nel corso dei quattro anni precedenti e quella economica rimasta ferma. Un trend in forte aumento è quello del comparto Scuola, la cui quota percentuale è cresciuta in cinque anni dell’1,61%, recuperando così buona parte della contrazione avuta nei primi anni del decennio. Il comparto delle Regioni ed autonomie locali registra, invece, una forte contrazione della sua quota sul totale della spesa del personale (-2,5%) che si è realizzata in modo continuo nel decennio.

IL TAR DEL LAZIO ANNULLA IL DECRETO DI SCIOGLIMENTO DI UN COMUNE

Il TAR del Lazio – Roma, Sezione I, con sentenza n. 3101/2019 è tornato ad occuparsi delle cause di scioglimento degli enti locali. Com’è noto, ai sensi del citato art. 143 TUEL, comma 1, “…i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

Il Collegio ricorda che il comma 2 della stessa norma dispone che, al fine di verificare la sussistenza degli elementi di cui al comma 1, anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti ed ai dipendenti dell’ente locale, il prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, di norma promuovendo l’accesso presso l’ente interessato. In particolare, il prefetto può nominare una commissione d’indagine, composta da tre funzionari della pubblica amministrazione, attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell’Interno ai sensi dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410. Entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una volta per un ulteriore periodo massimo di tre mesi, la commissione termina gli accertamenti e rassegna al prefetto le proprie conclusioni.

Sempre il Collegio evidenzia che il comma 3 prevede che, entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d’indagine, ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma 1, ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell’Interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell’ente locale. Nella relazione sono, altresì, indicati gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al Procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all’articolo 329 c.p.p., comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento.

Ancora il Collegio, come sopra già ricordato, ha sottolineato come secondo il comma 4 dell’art. 143 TUEL, lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti.

Sempre in via preliminare il Collegio, non ha ritenuto superfluo richiamare, in linea generale, gli indirizzi di interpretazione e applicazione della normativa in materia, come definiti dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa (Corte Costituzionale, sentenza 19 marzo 1993, n. 103; C. Stato, IV 21 maggio 2007, n. 2583; 24 aprile 2009, n. 2615; VI, 15 marzo 2010, n. 1490; 17 gennaio 2011, n. 227; 10 marzo 2011, n. 1547; III, 19 ottobre 2015, n. 4792, 24 febbraio 2016, n. 748, IV, 3 marzo 2016, n. 876, Tar Lazio, Roma, I, 1° luglio 2013, n. 6492; 21 novembre 2013, n. 9941; 20 marzo 2014, n. 3081).

A tale riguardo, si rammenta che lo scioglimento dell’organo elettivo si connota quale misura di carattere “straordinario” per fronteggiare un’emergenza “straordinaria”.

Nel relativo procedimento sono giustificati ampi margini nella potestà di apprezzamento dell’amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori, pur quando il valore indiziario dei dati non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale, essendo asse portante della valutazione di scioglimento, da un lato, la accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale.

Pertanto, in tale ambito di apprezzamento – secondo il Collegio – rispetto alla pur riscontrata commissione di atti illegittimi da parte dell’amministrazione, è necessario un quid pluris, consistente in una condotta, attiva od omissiva, condizionata dalla criminalità anche in quanto subita, riscontrata dall’amministrazione competente con discrezionalità ampia, ma non disancorata da situazioni di fatto suffragate da obbiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusione, così da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della comunità locale il permanere alla sua guida degli organi elettivi.

Ciò in quanto l’art. 143 TUEL precisa le caratteristiche di obiettività delle risultanze da identificare, richiedendo che esse siano concrete, e perciò fattuali, univoche, ovvero non di ambivalente interpretazione, rilevanti, in quanto significative di forme di condizionamento.

Qualche cenno va ancora riservato alla tipologia dello scrutinio di legittimità rimesso alla presente sede, che, come da costante giurisprudenza, in conseguenza dei profili interpretativi sopra accennati, è esercitabile nei limiti della presenza di elementi che denotino, con sufficiente concludenza, la eventuale deviazione del procedimento dal suo fine di legge.

Con l’avvertenza che l’operazione in cui consiste l’apprezzamento giudiziale delle acquisizioni in ordine a collusioni e condizionamenti non può però essere effettuata mediante l’estrapolazione di singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l’esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo sull’operato consiliare.

Ciò, in quanto, in presenza di un fenomeno di criminalità organizzata diffuso nel territorio interessato dalla misura di cui si discute, gli elementi posti a conferma di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, poiché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l’adozione della misura stessa (C. Stato, IV, 6 aprile 2005, n. 1573; 4 febbraio 2003, n. 562; V, 22 marzo 1998, n. 319; 3 febbraio 2000, n. 585).

Ebbene, nel caso di specie, come sarà precisato in prosieguo, tali presupposti “di insieme” non si rinvengono anche esaminando non atomisticamente gli episodi riportati nelle relazioni sopra richiamate.

Il Collegio ha osservato che manca nel caso di specie, in sostanza, il profilo fondamentale teso a individuare il legame tra l’operato degli amministratori locali e il vantaggio, sia pure indiretto, delle “cosche” locali, attraverso gli evidenziati episodi – commissivi od omissivi – contestati (TAR Lazio, Roma, I, 22 marzo 2018, n. 3187).

A ciò si aggiunga che, se è pur vero cha la stessa giurisprudenza amministrativa ha posto in luce che la misura di cui all’art. 143 cit. non ha natura di provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo, con eminente finalità di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata e la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata (Consiglio di Stato, III, 18 ottobre 2018, n. 5970), è altrettanto innegabile che comunque tale funzione “preventiva” non può limitarsi a legittimare una mera e generica operazione deduttiva e astratta, scollegata dai ricordati elementi concreti, univoci e rilevanti idonei a evidenziare una forma diretta o indiretta di condizionamento da parte della malavita organizzata.

Sulla scorta di tutte le coordinate normative, interpretative e giurisprudenziali di cui è stata fatta sin qui sintetica ricognizione può passarsi, quindi, alla disamina del ricorso in esame.

Le questioni sostanziali prospettate dal ricorrente attengono all’asserita inesistenza, nella fattispecie, degli elementi componenti il grave quadro che legittima il ricorso alla misura straordinaria di cui si discute.

Per effettuare tale disamina, va rammentato quanto già sopra visto, in uno alla citata giurisprudenza, ovvero come la ragionevolezza o meno della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l’adozione del rimedio previsto dalla disposizione non possa che derivare dalla considerazione unitaria, ovvero dall’esame complessivo, degli elementi presi in considerazione nel procedimento, nell’ottica dell’asserito “condizionamento”.Detti elementi possono essere compiutamente desunti dalla proposta di scioglimento del Ministro dell’Interno.

Infatti, come rilevato dalla Sezione in analoghi contenziosi (ex multis, Tar Lazio, Roma, I, 27 ottobre 2016, n. 10557, 10 luglio 2015, n. 9685, 21 novembre 2013, n. 9941), nell’ambito della complessità dell’iter, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, che caratterizza l’andamento del procedimento ex art. 143 del d.lgs. 267/2000, la relazione ministeriale va identificata come il momento centrale di rappresentazione analitica delle anomalie riscontrate nelle fasi antecedenti alla sua adozione, e, indi, quale vero nucleo espressivo della determinazione tecnica sottostante allo scioglimento.

Nella fattispecie, la proposta di scioglimento formulata dal Ministero dell’Interno riferisce alcuni fatti verificatisi in occasione della locale festa del Santo Patrono i quali, unitamente ad altri elementi emersi in una riunione di coordinamento con le forze di Polizia, hanno determinato l’insediamento della Commissione di accesso.

Dall’attività istruttoria compiuta dall’insediata Commissione sarebbe poi emerso, in un comune ricompreso in un ambito territoriale notoriamente caratterizzato dalla pervasiva presenza di locali organizzazioni criminali, un andamento gestionale dell’amministrazione comunale nel quale l’uso distorto della cosa pubblica si sarebbe concretizzato nel favorire soggetti o imprese collegati, direttamente o indirettamente, ad ambienti malavitosi.

In primo luogo la Giunta presenterebbe una sostanziale continuità amministrativa con la compagine eletta nel 2010.

Il sindaco, inoltre, gravato da diversi precedenti di polizia, lavorerebbe alle dipendenze di soggetti contigui alla criminalità organizzata.

Più in generale, una fitta rete di parentele, affinità, amicizie e frequentazioni con esponenti delle locali consorterie criminali riguarderebbe sia alcuni amministratori sia alcuni componenti dell’apparato burocratico.

Particolare enfasi è dedicata alla vicenda della mongolfiera che si è innalzata in volo durante i festeggiamenti del -OMISSIS-, sulla quale, oltre il nome del Santo, compariva il nome di una famiglia “mafiosa”.

In tale occasione, rileva la relazione ministeriale, la giunta non avrebbe condannato né stimmatizzato l’episodio, rilasciando, per contro, dichiarazioni tendenti a minimizzare l’accaduto.

La proposta rileva poi come ulteriori elementi sintomatici della ricorrenza di cointeressenze tra amministratori e cosche locali si trarrebbe dall’esame delle procedure di appalto, spesso disposte con procedure di somma urgenza o affidamento diretto in assenza dei presupposti di legge.

A tal fine rileverebbero:

la presenza, durante l’esecuzione dell’appalto per l’affidamento dei lavori per la pulizia di un canale d’acqua e per la manutenzione ordinaria e straordinaria di strade comunali, di un soggetto pluripregiudicato, il quale avrebbe tenuto un atteggiamento da supervisore;

– l’affidamento, nel 2013, del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani a una ditta che, nel 2016, sarebbe stata raggiunta da un’interdittiva antimafia; l’affidamento del 2013, come peraltro rilevato pure dall’Anac, era avvenuto in assenza di gara;

l’affidamento, avvenuto in violazione delle normativa di settore, dei lavori di efficientamento energetico degli istituti scolatici, peraltro disposto a favore di una ditta già affidataria di altri appalti comunali e il titolare della quale, gravato da numerosi precedenti di polizia e da frequentazioni con malavitosi, è stato candidato, nella lista del sindaco, nel 2013;

l’affidamento della gestione del cimitero comunale in favore di un soggetto parente di un assessore (in carica fino a ottobre 2014) e affine di un consigliere comunale, legato da parentela a un pluripregiudicato; l’offerta, peraltro, sarebbe stata materialmente formulata dal responsabile di una delle aree amministrative dell’ente locale;

la mancata adozione di provvedimenti sanzionatori in ordine alla gestione, in assenza di autorizzazione e su terreno appartenente a un noto pregiudicato affiliato a un’organizzazione criminale, del mercato domenicale;

la concessione di un consistente contributo economico in favore di una società sportiva in passato amministrata da un assessore comunale.

Il quadro indiziario descritto nella proposta ministeriale, va completato con l’esame della relazione prefettizia, che la prima richiama come sua “parte integrante”.

Il Prefetto, dopo aver descritto, con riferimento ai personaggi e alle famiglie coinvolte, il panorama criminale di -OMISSIS-, rileva come già nel 2009 fu disposto un accesso nel comune di -OMISSIS- a seguito dell’operazione “-OMISSIS-”, diretta dalla DDA.

La relazione stessa riferisce, tuttavia, che il giudizio penale che ha fatto seguito all’indagine si è concluso con la condanna del -OMISSIS- e di altri pregiudicati e l’assoluzione dei “colletti bianchi” coinvolti.

L’esposizione continua esaminando le figure degli assessori e dei consiglieri comunali, che il Prefetto rileva essere spesso legati tra di loro da vincoli familiari o amicali e sostanzialmente privi di una precisa collocazione ideologica partitica, tale da consentire loro frequenti cambi di schieramento, riferendo, per alcuni di essi, l’esistenza di pregiudizi penali e di legami con pregiudicati.

La relazione esamina, infine, le criticità in materia di appalti già evidenziate nella proposta ministeriale, che vengono descritte in maniera più dettagliata e alle quali si aggiungono : a) la vicenda riguardante la “-OMISSIS-” (che avrebbe alle sue dipendenze la moglie e il genero di un “capoclan”, un altro soggetto vicino a un “clan” e il cognato di un ex consigliere comunale di maggioranza e che avrebbe continuato a gestire il verde pubblico sulla base di una serie di proroghe, sebbene, a seguito di gara, fosse stato individuato il nuovo aggiudicatario); b) l’acquisto, con procedura di affidamento diretto, di forniture per il corpo dei vigili urbani dalla “-OMISSIS-”, i cui gestori sarebbero stati, uno, arrestato per usura nel 2005 e, l’altro, più volte controllato con “boss” mafiosi e pregiudicati; c) l’affidamento di un appalto alla “-OMISSIS-”, l’amministratore unico della quale avrebbe precedenti di polizia e sarebbe fratello di un sacerdote che nel 2016 aveva invitato i cittadini a partecipare alla messa in suffragio di un boss assassinato in Canada; d) la concessione di contributi pubblici a favore della cooperativa “-OMISSIS-”, società che gestisce una scuola dell’infanzia e il cui legale rappresentante è la moglie di un consigliere comunale eletto nelle liste dell’opposizione e poi transitato nelle fila della maggioranza.

L’esame del quadro delineato nella proposta in esame, analizzato alla luce delle emergenze processuali, fa emergere la fondatezza della censura ricorsuale inerente la carenza, nella fattispecie, dei presupposti per lo scioglimento degli organi elettivi locali.

Per arrivare a tale conclusione, va rammentato che, alla stregua delle ridette coordinate ermeneutiche, se è vero che gli elementi concreti, univoci e rilevanti che legittimano il ricorso al rimedio ex art. 143 cit. non devono necessariamente ridondare in attività di rilievo penale, è pur vero che essi non possono non dimostrare quella consistenza e unidirezionalità necessarie a permettere una fondata percezione della loro forte e decisa valenza rivelatrice dei collegamenti esistenti tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata e dei conseguenti condizionamenti sull’attività amministrativa.

E tutto ciò nella fattispecie non è dato osservare, a partire dalla stessa struttura motivazionale della relazione prefettizia.Questa, pur dando atto, nelle sue premesse, del fatto che l’operazione “-OMISSIS-” – nella quale erano stati inizialmente coinvolti, unitamente a soggetti riconducibili ai locali clan, anche alcuni assessori – si è conclusa con la condanna dei soli indagati per reati di criminalità organizzata e con l’assoluzione degli amministratori coinvolti, basa poi una parte preponderante delle sue argomentazioni proprio sugli assunti della detta operazione riguardanti gli amministratori a suo tempo indagati e poi assolti.

In particolare, la prospettazione accusatoria formulata in sede di indagine viene utilizzata sia per definire il profilo dei singoli consiglieri e assessori, sia per provare le frequentazioni problematiche degli altri amministratori laddove abbiano con i primi rapporti amicali o di consuetudine.

Né può qui rilevare il dato, evidenziato dalla difesa erariale, per cui la misura di rigore adottata “interviene … ancor prima che si determinino i presupposti per il procedimento penale o anche del procedimento di prevenzione”, atteso che, nel caso in esame, contrariamente a quanto accade nella maggior parte dei casi, nei quali il provvedimento dissolutorio è adottato in ragione e in concomitanza con l’inizio dell’indagine penale, la pronuncia assolutoria, relativa all’accertamento dei fatti e non solo alla loro qualificazione giuridica, era già intervenuta prima dell’adozione del provvedimento amministrativo di scioglimento.

La relazione, peraltro, si limita a riportare i fatti a suo tempo contestati in sede penale, senza farsi carico di evidenziare un disvalore sintomatico degli stessi, ulteriore rispetto a quello non ritenuto ricorrente nella sede penale.E’ in proposito significativo il fatto che, dallo stesso verbale del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica del 27 giugno 2017 (allegato sub 4 alla produzione versata in atti dalle amministrazioni resistenti in adempimento dell’ordinanza collegiale), emerge come, in tale sede, dalla lettura della relazione della Commissione d’accesso, “non” erano “emersi riscontri giudiziari nei confronti della compagine politico – amministrativa comunale, eccetto quelli rivenienti dall’Operazione anticrimine “-OMISSIS-” del 2009”, così che “l’attività del collegio è stata anche indirizzata alla verifica della permanenza, nell’attuale scenario politico di -OMISSIS- di personaggi in qualche modo coinvolti nella suddetta operazione di p.g.”.

In sostanza la valenza probante di uno dei pilastri argomentativi dell’intero provvedimento, il coinvolgimento di alcuni amministratori nell’operazione -OMISSIS-, risulta estremamente ridimensionato dagli stessi atti istruttori che ne hanno preceduto l’adozione.

Sempre con riferimento alle premesse della relazione va poi considerato il fatto che la relazione riferisce di un accesso disposto nel 2009, a seguito dell’inizio della citata indagine “-OMISSIS-”, ma non menziona l’avvenuta adozione di un provvedimento dissolutorio ai sensi dell’art. 143; ciò che dequota ulteriormente l’utilità di dati meno recenti, sia pure alla luce della molto enfatizzata continuità delle diverse giunte.

Il dato della continuità, peraltro, è espressamente riferito alla giunta eletta nel 2010 e, quindi, in tempo successivo all’operazione “-OMISSIS-”, e non è, come sostenuto dal ricorrente, portatore, di un intrinseco disvalore, né sintomatico, di per sé, dell’esistenza di collegamenti e condizionamenti con la criminalità organizzata.

Indicazioni ulteriori non possono poi essere tratte dal mero richiamo alla collocazione territoriale del comune oggetto della misura dissolutoria.Il contesto territoriale, infatti, nulla dice, di per sé, in ordine all’eventuale collegamento esistente tra gli amministratori di un determinato comune e la criminalità organizzata.

Come già rilevato dalla Sezione in analoghi contenziosi (tra cui Tar Lazio, I, 4 luglio 2013, n. 6609), la natura dello scioglimento quale rimedio di “extrema ratio” volto a salvaguardare beni primari dell’intera collettività nazionale, messi in pericolo o compromessi dalla collusione tra amministratori locali e criminalità organizzata o dal condizionamento comunque subito dai primi, non fronteggiabile con altri apparati preventivi o sanzionatori dell’ordinamento, ovvero, in altre parole, lo stesso obiettivo di ripristino delle condizioni di legalità che il legislatore assegna alla misura in presenza delle condizioni eccezionali tratteggiate dall’art. 143 TUEL, richiede che l’intervento sia posto in essere solo laddove l’influenza della criminalità organizzata sugli organi elettivi dell’amministrazione locale sia fondatamente e univocamente percepibile, risolvendosi altrimenti l’applicazione della norma in un’inammissibile ingerenza dello Stato nei governi locali.

Ne consegue imprescindibilmente che, nell’apprezzamento della eventuale sussistenza delle ridette condizioni eccezionali, nessuna realtà locale (quale specificamente quella di -OMISSIS-, sita in provincia di Bari) debba scontare in linea di principio ovvero pregiudizialmente la mera appartenenza a un più vasto territorio, ritenuto, sotto il profilo giuridico, ma anche sotto quello storico, pervasivamente interessato dalla presenza di fenomeni criminali radicati e organizzati nel territorio.Diversamente opinandosi, un ordinamento democratico e pluralistico, quale quello vigente, non potrebbe tollerare la stessa esistenza del considerato potere di intervento centrale, autoritativo e “ab externo”, sugli organi locali (TAR Lazio, n. 6609/13 cit.).

Può aggiungersi, del resto, che per le stesse ragioni, ancorché antiteticamente, altre realtà locali, sia pur ritenute, sempre storicamente, lontane dagli stessi fenomeni per ragioni geografiche, non possono, per ciò solo, e soprattutto nell’attuale nuova conformazione delle strutture criminali, implementatasi in conformità allo sviluppo delle forme di comunicazione e al più elevato grado di complessità delle sottostanti organizzazioni, essere ritenute indenni dalla possibilità di un loro radicamento.

Si deve in sostanza concludere che, in base alle specifiche caratteristiche di ciascuna parte del territorio nazionale, l’accertamento da compiersi ex art. 143 del d.lgs. 267/2000, ai fini del suo positivo riscontro di legittimità in via giudiziale, deve necessariamente far trasparire l’esistenza di un modello di collegamento diretto o indiretto tra amministratori e criminalità organizzata di tipo mafioso o similare ovvero di forme di condizionamento dei primi, che possono anche riflettersi, caso per caso, in una diversa conformazione degli elementi che denotano la presenza delle condizioni patologiche che determinano i gravi effetti negativi nella gestione della cosa pubblica richiamati dalla disposizione, ma che non può che essere identico nell’apprezzamento della consistenza degli elementi stessi, che, laddove conduca allo scioglimento dell’organo elettivo locale, deve dar conto in ogni caso della loro concretezza, univocità e rilevanza.

Medesima assenza di significatività, lamentata dal ricorrente con l’atto introduttivo e con i motivi aggiunti, va ravvisata con riferimento agli elementi che la relazione individua quali atti a definire la figura del sindaco.

E infatti, la stessa relazione prefettizia dà conto del fatto che la denuncia a carico del -OMISSIS- per i reati di cui agli artt. 110, 56 e 319 quater c.p. si è conclusa con una pronuncia di assoluzione per non aver commesso il fatto.

Come argomentato nei motivi aggiunti, peraltro, la motivazione dell’assoluzione, che scredita fortemente la figura della denunciante, fornisce argomenti anche per contestare la ritenuta sintomaticità della medesima accusa, ancora pendente e per i medesimi fatti, in capo al consigliere Prestipilo.

Ancora con riferimento al sindaco, la relazione riferisce come la società della quale questi è dipendente annovera, quale ex socio ed attuale dipendente, -OMISSIS-, figlia e sorella di appartenenti all’omonimo “clan” locale.

Sulla valenza probatoria della vicenda, tuttavia, è rimasto incontestato quanto riferito dal ricorrente in ordine al fatto che i soci della ditta per cui lavora non sono pregiudicati, che il precedente socio, oggi dipendente, è a sua volta gravato da meri “pregiudizi” penali, ma non da precedenti in senso tecnico, e che, a seguito dell’elezione, egli ha chiesto di essere collocato in aspettativa.

Come poi sostenuto nei motivi aggiunti, non può attribuirsi particolare rilievo ai “precedenti di polizia” menzionati a carico del ricorrente, atteso che gli stessi, anche ove molto risalenti, non risultano aver dato luogo a sentenze di condanna.

L’argomento della radicale differenza tra la mera segnalazione di polizia e la condanna in sede penale, peraltro, è spesa dal ricorrente con riferimento alle numerose e diverse segnalazioni a carico dei vari consiglieri, al fine di evidenziare la sostanziale inconsistenza dei rilievi a questi mossi.

In proposito occorre rilevare come effettivamente la relazione conferisca a tali dati grande rilievo, tanto che gli stessi costituiscono, nella maggior parte dei casi, gli unici elementi riferiti.

Né maggior consistenza presentano le indicazioni delle frequentazioni, atteso che le stesse, ove presenti, fanno riferimento a rapporti di consuetudine con altri membri della giunta o del consiglio (coinvolti nell’operazione -OMISSIS- e poi assolti) e a incontri con pregiudicati, la descrizione dei quali, pur nella sede più analitica costituita dal verbale della Commissione d’accesso, presenta, tuttavia, un alto tasso di assertività e uno scarso tasso di dettaglio, tale da non consentire all’interprete di vagliarne la significativa reiterazione e la collocazione nel tempo.

Ne deriva la generale ravvisabilità della censurata ricorrenza, nella proposta ministeriale e nella relazione prefettizia, di formule generiche e assertive, evocative di collegamenti e cointeressenze degli amministratori locali con la criminalità organizzata, non puntualmente correlate a dati fattuali e concreti, spesso tautologicamente ripetuti per rafforzare la reciproca valenza argomentativa.

Ciò non corrisponde, tuttavia, al paradigma normativo disegnato dall’art. 143 del Tuel atteso che la delicata attività di ricostruzione del presupposto “soggettivo” dello scioglimento del consiglio comunale, pur risultando operata nell’esercizio di ampia discrezionalità, richiede sempre “un costante e concreto aggancio ad elementi rilevanti ed univoci che, pur non assurgendo al rango di prova, contribuiscono ad indicare un percorso di ragionevolezza valutativa e di proporzionalità ed adeguatezza della misura adottata”. ”( Consiglio di Stato, sez. IV, 3 marzo 2016, n. 876, nello stesso senso sez. III, 24 febbraio 2016, n. 748, che rileva come “Se è vero, in altri, termini che, ai fini della legittima adozione della misura in esame, non è necessaria la dimostrazione di responsabilità penali degli amministratori locali, è anche vero, tuttavia, che gli indici dell’infiltrazione mafiosa nel Comune devono essere precisi e stringenti, nella loro portata univocamente significativa di un reale e concreto condizionamento della libera determinazione degli organi elettivi comunali da parte delle locali consorterie mafiose […] Perché la decisione in questione possa reputarsi conforme al parametro legislativo che la autorizza, risulta, in definitiva, indispensabile la prova, seppur nella ridotta modalità della raccolta di indizi gravi e concordanti, che la libertà decisoria degli organi elettivi del Comune, che risultano, infatti, colpiti, dalla misura del commissariamento, sia concretamente conculcata e limitata, se non annullata, dall’opera di condizionamento della criminalità organizzativa di stampo mafioso”).

Come osservato in giurisprudenza occorre, cioè, evitare che più elementi “deboli”, raccolti in sede istruttoria “nella ricostruzione dell’interprete, si “stampellino” reciprocamente, con il risultato di produrre un quadro dove la suggestione del disegno complessivo oscuri e nasconda il difetto di elementi concreti, ovvero la loro (incerta) rilevanza ed univocità” (Consiglio di Stato, sez. IV, 3 marzo 2016, n. 876).

Con riferimento poi all’assegnazione dei lavori per l’efficientamento energetico degli edifici scolastici appare condivisibile quanto osservato dal ricorrente nei motivi aggiunti, laddove rileva che la relazione non individua criticità nelle modalità di assegnazione dell’appalto alla “-OMISSIS-”.La ricostruzione del Prefetto, infatti, si limita a richiamare il fatto che il titolare è gravato da “pregiudizi di polizia” per reati comuni e a menzionare, senza utili specificazioni temporali, episodi in cui quest’ultimo è stato controllato in compagnia di pregiudicati affiliati ai locali “clan”.

Quanto poi alla “-OMISSIS-”, affidataria dal 2014 del servizio di igiene urbana e raggiunta nel 2016 da interdittiva antimafia, il ricorrente ha depositato in atti copia dell’ordinanza cautelare di primo grado con la quale è stata respinta la domanda cautelare avverso l’affidamento alla ditta e ha pure dimostrato documentalmente di aver sostituito la ditta appena avuta notizia dell’interdittiva. Con riferimento all’affidamento della gestione cimiteriale, poi la stessa relazione enfatizza l’aspetto dei collegamenti parentali dell’affidataria e l’irregolare formulazione della sua domanda di partecipazione ad opera di un dipendente comunale, ma non riconduce l’affidamento medesimo ad un condizionamento “mafioso”.

I descritti episodi di irregolarità amministrativa risultano in conclusione non inseriti “in un quadro che consenta di collocarle, in modo univoco, come effetti di una situazione di connivenza o di condizionamento, che ad esse teleologicamente orienta l’attività amministrativa”; ciò è indispensabile a fini di distinguere i casi di vero e proprio collegamento e condizionamento da “quelli, purtroppo pur diffusi, di attività amministrativa fortemente contrassegnata da illegittimità e/o illiceità” (così, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 marzo 2016, n. 876, nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. III, 19 ottobre 2015, n. 4792, che ricorda come “gli elementi dedotti dalla Amministrazione, in assenza del condizionamento di tipo mafioso, non possono giustificare l’adozione del provvedimento straordinario di cui all’art. 143 TUEL secondo i parametri indicati ai paragrafi 6.2., 6.3. e 6.4., prevalendo al riguardo le tutele predisposte a favore del rispetto della volontà popolare e dell’autonomia territoriale. Le misure previste dal suddetto art. 143, infatti, non costituiscono strumento generale a garanzia del corretto funzionamento dell’ente, ma uno strumento specifico per fronteggiare i malfunzionamenti dell’Amministrazione in conseguenza e in dipendenza di rapporti con la criminalità organizzata”).

In conclusione, ad avviso del Collegio gli atti gravati, non sono riusciti ad evidenziare, per assenza di univocità e concretezza delle evidenze utilizzate, la ricorrenza di un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi, tale da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali in quanto tesa a favorire o a non contrastare la penetrazione della suddetta criminalità nell’apparato amministrativo.

IL CONSIGLIO DI STATO TORNA SUL PROBLEMA DELLA ROTAZIONE NEGLI AFFIDAMENTI SOTTO SOGLIA EUROPEA

Il Consiglio di Stato, Sezione IV, con sentenza n. 1524/2019 è tornato ad occuparsi delle procedure sotto soglia europea puntualizzando alcune questioni:

Premesso infatti che quello in esame è un appalto sotto soglia e che la procedura su cui nello specifico si controverte non è aperta, bensì negoziata, va confermato il principio di carattere generale – su cui, da ultimi, Cons. Stato, V, 13 dicembre 2017, n. 5854 e VI, 31 agosto 2017, n. 4125 – in virtù del quale va riconosciuta l’obbligatorietà del principio di rotazione per le gare di lavori, servizi e forniture negli appalti cd. “sotto soglia”.

In particolare, il principio di rotazione ‒ che per espressa previsione normativa deve orientare le stazioni appaltanti nella fase di consultazione degli operatori economici da invitare a presentare le offerte ‒ trova fondamento nell’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento e non invece – come ipotizzato dall’appellante – dalle modalità di affidamento, di tipo “aperto”, “ristretto” o “negoziato”), soprattutto nei mercati in cui il numero di operatori economici attivi non è elevato.

Pertanto, anche al fine di dissuadere le pratiche di affidamenti senza gara – tanto più ove ripetuti nel tempo – che ostacolino l’ingresso delle piccole e medie imprese e di favorire, per contro, la distribuzione temporale delle opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori potenzialmente idonei, il principio in questione comporta, in linea generale, che ove la procedura prescelta per il nuovo affidamento sia di tipo ristretto o “chiuso” (recte, negoziato), l’invito all’affidatario uscente riveste carattere eccezionale.

Rileva quindi il fatto oggettivo del precedente affidamento in favore di un determinato operatore economico, non anche la circostanza che questo fosse scaturito da una procedura di tipo aperto o di altra natura.

Per l’effetto, ove la stazione appaltante intenda comunque procedere all’invito del precedente affidatario, dovrà puntualmente motivare tale decisione, facendo in particolare riferimento al numero (eventualmente) ridotto di operatori presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero al peculiare oggetto ed alle caratteristiche del mercato di riferimento (in tal senso, si veda anche la delibera 26 ottobre 2016, n. 1097 dell’Autorità nazionale anticorruzione, linee-guida n. 4).

Nel caso su cui si verte, dunque, la stazione appaltante aveva solo due possibilità: non invitare il gestore uscente o, in caso contrario, motivare attentamente le ragioni per le quali riteneva di non poter invece prescindere dall’invito.

La scelta di optare per la prima soluzione è dunque legittima, né in favore della soluzione contraria valgono considerazioni di tutela della concorrenza: invero, l’obbligo di applicazione del principio di rotazione negli affidamenti sotto-soglia è volto proprio a tutelare le esigenze della concorrenza in un settore nel quale è maggiore il rischio del consolidarsi, ancor più a livello locale, di posizioni di rendita anticoncorrenziale da parte di singoli operatori del settore risultati in precedenza aggiudicatari della fornitura o del servizio.

In particolare, per effetto del principio di rotazione l’impresa che in precedenza ha svolto un determinato servizio non ha più alcuna possibilità di vantare una legittima pretesa ad essere invitata ad una nuova procedura di gara per l’affidamento di un contratto pubblico di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, né di risultare aggiudicataria del relativo affidamento (ex multis, Cons. Stato, V, 13 dicembre 20017, n. 5854; V, 31 agosto 2017, n. 4142).

Neppure può trovare accoglimento l’ulteriore profilo di censura secondo cui, nel caso di specie, il principio di rotazione non avrebbe potuto comunque trovare applicazione in ragione della non perfetta omogeneità tra le prestazioni oggetto dell’affidamento e quelle in precedenza rese da Cosmopol s.p.a. in qualità di affidatario uscente.

Invero, la stessa circostanza che l’odierna appellante rivendichi la propria qualità di “gestore uscente” dà la misura dei limiti oggettivi di tale argomento, dal momento che in tanto può avere un senso spendere nel processo una tale circostanza, in quanto il nuovo affidamento nel quale si intende subentrare sia consustanziale al precedente.

In ogni caso, l’eccezione non è fondata. Non è infatti sostenibile, alla luce delle risultanze di causa, che l’affidamento su cui attualmente si controverte presenti una sostanziale alterità qualitativa (ossia afferente la natura delle prestazioni richieste) rispetto al precedente affidamento assegnato a Cosmopol s.p.a. nel 2016, alterità che del resto neppure viene individuata, almeno nei suoi contenuti essenziali, dall’appellante.

Al riguardo, non è pertinente il richiamo (a pag. 18 dell’atto di appello) fatto da Cosmopol a quanto riportato nelle difese della stazione appaltante, per cui “tra la prima e la seconda gara è stato modificato, cosa di non poco conto, l’oggetto della gara”, dal momento che le stesse non fanno riferimento ad un’eventuale differenza tra la gara del 2016 assegnata a Cosmopol ed a quella su cui attualmente si verte – differenza che si sarebbe dovuto riscontrare, nell’ottica argomentativa dell’appellante – bensì attengono, quanto alla prima, alla procedura negoziata di cui alla determinazione n. 112 del 15 maggio 2017, del tutto irrilevante in quanto di lì a poco annullata in autotutela.

Sul punto, già nel corso del precedente grado di giudizio la Stazione Zoologica di Napoli aveva chiarito che con la determinazione n. 112 del 2017 era stata bandita una “procedura negoziata per l’affidamento del servizio di portierato/reception per la sede di Napoli, la sede di Portici ed il servizio di ronda per il laboratorio in via Punta S. Pietro n. 127 – Ischia”, poi annullata d’ufficio con determina n. 143 del 14 giugno 2017 in ragione, tra l’altro, della ritenuta contrarietà del bando con l’art. 51 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui la lettera di invito aveva inteso affidare, mediante lotto unico, sia i servizi di vigilanza che i servizi di portierato e reception, così precludendo l’accesso ai soggetti privi di licenza ex art. 134 Tulps.

Sulla questione deve comunque concludersi, in termini generali, che – se è corretto affermare che l’applicazione del disposto di cui all’art. 36, comma primo del d.lgs. n. 50 del 2016, proprio perché volta a tutelare la dimensione temporale della concorrenza, logicamente presuppone una specifica situazione di continuità degli affidamenti, tale per cui un determinato servizio, una volta raggiunta la scadenza contrattuale, potrebbe essere ciclicamente affidato mediante un nuova gara allo stesso operatore – ciò non implica però che i diversi affidamenti debbano essere ognuno l’esatta “fotocopia” degli altri.

In breve, ciò che conta è l’identità (e continuità), nel corso del tempo, della prestazione principale o comunque – nel caso in cui non sia possibile individuare una chiara prevalenza delle diverse prestazioni dedotte in rapporto (tanto più se aventi contenuto tra loro non omogeneo) – che i successivi affidamenti abbiano comunque ad oggetto, in tutto o parte, queste ultime.

In questi termini di grandezza va dunque letta la norma di legge in precedenza richiamata, ad escludere cioè che la procedura di selezione del contraente si risolva in una mera rinnovazione – in tutto o in parte, e comunque nei suoi contenuti qualificanti ed essenziali – del rapporto contrattuale scaduto, dando così luogo ad una sostanziale elusione delle regole della concorrenza a discapito degli operatori più deboli del mercato cui, nel tempo, sarebbe sottratta la possibilità di accedere ad ogni prospettiva di aggiudicazione.

La società appellante, sul presupposto invece dell’illegittimità della propria esclusione, deduce che il criterio prescelto contrasterebbe con l’obbligo, sancito dall’art. 95, comma 3 del d.lgs. n. 50 del 2016, di affidare i servizi “ad alta intensità di manodopera” ex art. 50 del medesimo decreto mediante il diverso criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa (obbligo che, del resto, sarebbe stato assunto in precedenza a fondamento dell’esercizio dell’autotutela da parte della stessa stazione appaltante).

Il motivo è in primo luogo inammissibile, non sussistendo un interesse obiettivo ed attuale in capo all’appellante a proporre tale doglianza, una volta accertata la legittimità del suo mancato invito alla gara (e, dunque, della conseguente mancata partecipazione alla stessa).

Solo per completezza, va comunque detto che la censura non risulta neppure fondata nel merito, ove si ricordi che l’appalto aveva ad oggetto esclusivamente l’affidamento del servizio di portierato / reception per le sedi di Napoli e Portici, ossia – come già accertato dal primo giudice – servizi per loro natura strettamente vincolati a precisi ed inderogabili standard tecnici o contrattuali, per i quali dunque non sorge un reale necessità di far luogo all’acquisizione di offerte differenziate.

Sul punto occorre rilevare che l’appellante non si sofferma a confutare, in modo oggettivo, quanto motivato nella sentenza di primo grado sulle caratteristiche concrete della prestazione oggetto di appalto. Per contro, la determina n. 327 del 29 novembre 2017 appariva chiara nel motivare la scelta di “aggiudicare la gara in oggetto secondo il criterio dell’offerta del prezzo più basso, di cui all’art. 95 del D.Lgs. 50/2016, in quanto le caratteristiche della prestazione da eseguire sono già ben definite nel capitolato d’oneri, in cui sono previste tutte le caratteristiche e condizioni della prestazione e, pertanto, il concorrente deve solo offrire il prezzo”.

Sulla base di tale premessa va dunque fatta applicazione del principio (da ultimo, Cons. Stato, III, 13 marzo 2018, n. 1609, che supera il precedente di Cons. Stato, III, 2 maggio 2017, n. 2014) secondo cui per i contratti con caratteristiche standardizzate non vi è alcuna ragione né utilità di far luogo ad un’autonoma valutazione e valorizzazione degli elementi non meramente economici delle offerte, poiché queste, proprio perché strettamente assoggettati allo standard, devono assolutamente coincidere tra le varie imprese.

In tale ottica la tipologia di cui alla lett. b) del comma 4 dell’art. 95 d.lgs. n. 50 del 2016 attiene ad un’ipotesi ontologicamente del tutto differente sia dall’appalto “ad alta intensità di manodopera” di cui all’art. 95 comma 3 lett. a), che concerne prestazioni comunque tecnicamente fungibili; e sia da quelli caratterizzati da “notevole contenuto tecnologico” o di “carattere innovativo” di cui all’art 95 comma n. 4 lett. c) del Codice dei contratti, attinenti tipicamente a prestazioni di contenuto evolutivo.

LA LEGGE EUROPEA 2019 DA LUNEDì IN AULA ALLA CAMERA

I lavori in Aula alla Camera dei deputati riprenderanno lunedì 11 marzo con la discussione sulle linee generali del disegno di legge: Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2018 (Approvato dal Senato) (C. 1432-A).

La legge europea è – assieme alla legge di delegazione europea – uno dei due strumenti predisposti dalla legge n. 234 del 2012 al fine di adeguare periodicamente l’ordinamento nazionale a quello dell’Unione europea . L’articolo 29, comma 5, della legge vincola il Governo alla presentazione alle Camere, su base annuale, di un disegno di legge dal titolo “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea”, completato dall’indicazione “Legge europea” seguita dall’anno di riferimento. Non è stabilito un termine preciso per la presentazione del disegno di legge europea.

Al contrario l’articolo 29, comma 4, prevede che il disegno di legge di delegazione europea sia presentato entro il 28 febbraio di ogni anno. L’articolo 30, comma 3, dettaglia come segue il contenuto della legge europea:
a) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti in contrasto con gli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea;
b) disposizioni modificative o abrogative di disposizioni statali vigenti oggetto di procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea nei confronti della Repubblica italiana o di sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea;
c) disposizioni necessarie per dare attuazione a, o per assicurare l’applicazione di, atti dell’Unione europea;
d) disposizioni occorrenti per dare esecuzione ai trattati internazionali conclusi nel quadro delle relazioni esterne dell’Unione europea;
e) disposizioni emanate nell’esercizio del potere sostitutivo esercitabile ex articolo 117, comma 5, della Costituzione per l’attuazione ed esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea al livello regionale e delle province autonome di Trento e Bolzano in caso di inadempienza degli enti competenti.
Peraltro l’articolo 41 detta principi e limiti cui è sottoposto tale potere sostitutivo. Vengono, dunque, inserite nel disegno di legge europea, in linea generale, norme volte a prevenire l’apertura, o a consentire la chiusura, di procedure di infrazione, nonché, in base ad una interpretazione estensiva del disposto legislativo, anche norme volte a permettere l’archiviazione dei casi di pre-contenzioso EU Pilot (su cui infra).
La legge di delegazione europea contiene invece disposizioni per il conferimento al Governo di deleghe legislative per il recepimento o attuazione.

I PICCOLI COMUNI POSSONO SOTTRARSI ALLA GESTIONE ASSOCIATA DELLE FUNZIONI FONDAMENTALI SE DIMOSTRANO CHE NON REALIZZA RISPARMI

La Corte Costituzionale in data 4 marzo ha, finalmente stabilito con Sentenza n. 33/2019 che la disposizione che impone ai Comuni con meno di 5.000 abitanti di gestire in forma associata le loro funzioni fondamentali (trasporto pubblico, polizia municipale, ecc.) è incostituzionale là dove non consente ai Comuni di dimostrare che, in quella forma, non sono realizzabili economie di scala e/o miglioramenti nell’erogazione dei beni pubblici alle popolazioni di riferimento. Lo ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 33 depositata oggi (relatore Luca Antonini) in riferimento all’art. 14, comma 28 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78. Secondo la Corte, l’obbligo imposto ai Comuni sconta un’eccessiva rigidità perché dovrebbe essere applicato anche in tutti quei casi in cui: a) non esistono Comuni confinanti parimenti obbligati; b) esiste solo un Comune confinante obbligato, ma il raggiungimento del limite demografico minimo comporta il coinvolgimento di altri Comuni non in situazione di prossimità; c) la collocazione geografica dei confini dei Comuni (per esempio in quanto montani e caratterizzati da particolari fattori antropici, dispersione territoriale e isolamento) non consente di raggiungere gli obiettivi normativi. Si tratta di situazioni dalla più varia complessità che però – secondo la sentenza – meritano attenzione perché il sacrificio imposto all’autonomia comunale non realizza quei risparmi di spesa cui è finalizzata la normativa stessa. La sentenza, inoltre, richiama l’attenzione sul fatto che, rispetto al disegno costituzionale, l’assetto organizzativo dell’autonomia comunale italiana è da sempre relegato “a mero effetto riflesso di altri obiettivi”. Una doverosa cooperazione da parte del sistema degli attori istituzionali, direttamente o indirettamente coinvolti, dovrebbe invece assicurare il raggiungimento del difficile obiettivo di una equilibrata, stabile e organica definizione dell’assetto fondamentale delle funzioni ascrivibili all’autonomia locale. A questo proposito la sentenza ricorda come in altri Paesi (ad esempio in Francia) sono state trovate risposte strutturali al problema della polverizzazione dei Comuni, spesso attuando la differenziazione sul piano non solo organizzativo ma anche funzionale. La Corte ha infine dichiarato l’illegittimità delle norme della legge regionale Campania sulla individuazione della dimensione territoriale ottimale e omogenea per lo svolgimento delle funzioni fondamentali, in quanto approvate in assenza della necessaria concertazione con i Comuni interessati.

L’INTERVENTO DEL PROCURATORE REGIONALE DEL LAZIO DELLA CORTE DEI CONTI IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Il giorno 28 febbraio 2019 alle ore 11,00, presso l’aula delle Sezioni riunite della Corte dei conti, Viale Mazzini, 105, ha avuto luogo la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2019 della Sezione giurisdizionale regionale per il Lazio. Ha svolto la relazione il Presidente della Sezione Giurisdizionale Piera Maggi. E’ seguito l’intervento del Procuratore regionale Andrea Lupi.

Molti i temi trattati dal Procuratore regionale che in gran parte hanno riguardato la gestione del Comune di Roma e in particolare quella del demanio marittimo affermando che: “Non è ammissibile nel nostro ordinamento concedere o affidare convenzionalmente a privati l’esercizio di attività economiche su beni demaniali, di libera fruizione, da cui conseguano dunque ricavi per il titolare, senza che quest’ultimo versi all’erario pubblico (e questi si adoperi per riscuotere) una somma di denaro quale corrispettivo del diritto di sfruttare economicamente il bene pubblico. Come noto, si tratta di ricavi notoriamente elevatissimi nel caso delle attività balneari, come testimonia, tra l’altro, proprio nell’ambito del litorale in questione, la crescente attenzione della criminalità organizzata per tali attività”

Sempre il dott. Lupi ha tenuto a sottolineare che “Tra l’altro, costituisce fatto notorio – e viene rammentato, da ultimo, dallo stesso Municipio X – che agli affidatari è stato consentito di “posizionare” le attrezzature da spiaggia (ombrelloni, lettini, ecc.) da noleggiare agli utenti, con conseguente uso improprio dell’area demaniale marittima destinata alla libera fruizione ed ulteriore profilo di assimilazione alla diversa ipotesi dello stabilimento balneare, oggetto di concessione (art. 2, co. 1, lett. a), e art. 3, del Reg. reg. n. 11 del 2009). A tale ultimo riguardo va rammentato che la presenza di servizi complementari ed accessori alla balneazione non deve in alcun modo incidere sulla destinazione nella sua interezza del bene demaniale all’uso collettivo (cfr. Consiglio Stato, sez. VI, 21 settembre 2006 , n. 5566 che ha ritenuto legittimo il diniego di rilascio di concessione demaniale marittima per la realizzazione di uno stabilimento balenare prevedendo il progetto la “posa di ombrelloni e sedie-sdraio pertinenti alla stessa struttura balneare”, condizione d’uso appunto ritenuta all’evidenza in contrasto con la nozione di “spiaggia libera”

Delega al Governo per la semplificazione, la razionalizzazione, il riordino, il coordinamento e l’integrazione della normativa in materia di contratti pubblici

Il 28 febbraio il Governo ha approvato il testo di dieci proposte di legge da presentare al Parlamento per farsi delegare ad emanare altrettanti decreti legislativi tra i quali assume grande importanza quella relativa al riassetto della materia dei contratti pubblici, non solo nei settori ordinari e speciali ma anche nei settori della difesa e della sicurezza. In particolare, la delega mira a rendere la normativa più semplice e chiara, nonché a limitarne le dimensioni e i rinvii alla normazione secondaria.

Dal punto di vista contenutistico, la delega promuove la responsabilità delle stazioni appaltanti e mira ad assicurare l’efficienza e la tempestività delle procedure di programmazione, di affidamento, di gestione e di esecuzione degli appalti pubblici e dei contratti di concessione, al fine di ridurre e rendere certi i tempi di realizzazione delle opere pubbliche, razionalizzando inoltre i metodi di risoluzione delle controversie, anche alternativi ai rimedi giurisdizionali, riducendo, tra l’altro, gli oneri di impugnazione degli atti delle procedure di affidamento.

Infine, si introducono principi e criteri direttivi volti ad alleggerire gli oneri burocratici e di regolazione, semplificando il carico degli adempimenti gravanti sugli operatori economici.

LE NUOVE NORME PER L’AFFIDAMENTO DIRETTO DI LAVORI: LA CIRCOLARE DEL CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI INGEGNERI

Il Consiglio nazionale degli ingegneri con Circolare n. 352/2019 ha approfondito la questine delle modifiche apportate al codice dei contratti.

Com’è noto, la Legge 30 dicembre 2018, n. 145 recante “bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021” – pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 31 dicembre 2018 (n. 302, S.O.) ed entrata in vigore il 1° gennaio 2019 (ad eccezione di alcune disposizioni che sono entrate in vigore il 31 dicembre 2018) – ha provveduto a modificare il Codice dei Contratti (il già novellato D.Lgs. n. 50 del 2016), nelle more di una sua complessiva revisione. In particolare, nel settore dei lavori, la Legge di Bilancio 2019 (art. 1 comma 9121 ) ha previsto l’innalzamento della soglia per l’affidamento diretto per importi pari o superiori a € 40.000 ed inferiori a € 150.000, “previa consultazione di almeno 3 operatori economici” nonché l’innalzamento della soglia della procedura negoziata con almeno dieci operatori economici, per importi pari o superiori a € 150.000 ed inferiori a € 350.000 (art. 36, comma 2, lett. b). Invece, per quanto attiene i servizi e le forniture resta tutto invariato e, quindi per gli stessi è possibile continuare ad applicare l’articolo 36, comma 2, 1 912. Nelle more di una complessiva revisione del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, fino al 31 dicembre 2019, le stazioni appaltanti, in deroga all’articolo 36, comma 2, del medesimo codice, possono procedere all’affidamento di lavori di importo pari o superiore a 40.000 euro e inferiore a 150.000 euro mediante affidamento diretto previa consultazione, ove esistenti, di tre operatori economici e mediante le procedure di cui al comma 2, lettera b), del medesimo articolo 36 per i lavori di importo pari o superiore a 150.000 euro e inferiore a 350.000 euro. lettere a) e b) dell’attuale testo del Codice dei Contratti di cui al D.lgs. n. 50/2016 con affidamenti diretti per importi sino a 40.000 euro (lettera a)) e con procedura negoziata (lettera b)) per importi sino alla soglia comunitaria, fermo restando all’interno dei servizi la specificità dei servizi di Ingegneria e Architettura di cui agli articoli 31 comma 8, 157 comma 2 e 95 comma 3. Le modifiche alla normativa, la cui operatività temporale è comunque stata limitata al 31 dicembre 2019, appaiono concepite nell’ottica di dotare le Stazioni appaltanti di una maggiore discrezionalità. A tale riguardo l’ANAC, con le Linee Guida n. 4 di attuazione del Decreto Legislativo 18 aprile 2016, n. 50, recanti “Procedure per l’affidamento dei contratti pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, indagini di mercato e formazione e gestione degli elenchi di operatori economici”, ha recentemente pubblicato e sottoposto a consultazione pubblica una proposta di modifica sugli appalti sotto la soglia comunitaria. L’ANAC ha specificato e confermato che l’affidamento diretto previa consultazione di 3 operatori, tra € 40.000 e € 150.00 (in luogo della procedura negoziata con 10 invitati), coinvolge il solo settore dei lavori e non anche quello dei servizi di ingegneria e architettura come da alcuni erroneamente paventato. Sul punto l’Autorità propone di inserire nelle Linee guida un riferimento al periodo transitorio introdotto dalla norma, specificando che per l’anno 2019, per gli affidamenti di lavori, valgono le soglie introdotte dalla legge 145/2018. Inoltre, secondo l’ANAC si ritiene utile chiarire il significato da attribuire alla locuzione «affidamento diretto previa consultazione di tre operatori», atteso che in tale espressione sono accostati termini che connotano due procedure diverse: l’affidamento diretto e la procedura negoziata.