LA CORTE COSTITUZIONALE RITIENE CHE LO SPOIL SYSTEM PREVISTO PER I SEGRETARI COMUNALI NON E’ INCOSTITUZIONALE

La Corte Costituzionale con sentenza del 23 febbraio ha stabilito che non è incostituzionale la disposizione del testo unico degli enti locali secondo cui il segretario comunale resta in carica per un periodo corrispondente a quello del sindaco che lo ha nominato e cessa automaticamente dall’incarico al termine del mandato di quest’ultimo.

La corte ha dichiarato non fondata una questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Brescia, che dubitava del meccanismo descritto, per supposta violazione dei principi costituzionali di imparzialità e continuità dell’azione amministrativa (articolo 97 Costituzione).

I giudici costituzionali hanno messo in luce che l’evoluzione della normativa sul segretario comunale, prima e dopo l’entrata in vigore della Costituzione, è ispirata da concezioni assai diverse, alla ricerca di punti di equilibrio fra due esigenze non facilmente conciliabili: il riconoscimento dell’autonomia degli enti locali, da una parte; la necessità di garantire adeguati strumenti di controllo della loro attività, dall’altra. Anche attualmente, lo statuto burocratico e funzionale che caratterizza il segretario comunale è segnato da aspetti in apparenza dissonanti. Da un lato egli è funzionario statale assunto per concorso, ma dall’altro è preposto allo svolgimento effettivo delle sue funzioni attraverso una nomina relativamente discrezionale del sindaco. Non può essere revocato liberamente durante il mandato (salvo che per violazione dei doveri d’ufficio) ma è, appunto, destinato a cessare automaticamente dalle proprie funzioni al mutare del sindaco (salvo conferma), eppure anche in questo caso è garantito nella stabilità del suo status giuridico ed economico e del suo rapporto d’ufficio, rimanendo iscritto all’albo nazionale dei segretari comunali dopo la mancata conferma e restando perciò a disposizione per successivi incarichi presso altri comuni. Il segretario comunale, spiega la sentenza, è titolare di attribuzioni multiformi: neutrali, di controllo di legalità e di certificazione, da una parte, ma, dall’altra, di gestione quasi manageriale e di supporto propositivo all’azione degli organi comunali, capaci di orientare le scelte dell’ente nella fase preliminare della definizione dell’indirizzo amministrativo di quest’ultimo.

Tutte queste ragioni impediscono di applicare al segretario comunale quella giurisprudenza restrittiva che ha più volte dichiarato costituzionalmente illegittime disposizioni di leggi statali o regionali che prevedevano meccanismi di spoils system, cioè di decadenza automatica da un incarico amministrativo non apicale né fiduciario, al solo mutare dell’organo politico di riferimento.

RIMESSA ALL’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO LA DECISIONE SUL CRITERIO DI AGGIUDICAZIONE DEI SERVIZI AD ALTA INTENSITA’ DI MANODOPERA

PALAZZO SPADA – CORTILE INTERNO

La III Sezione del Consiglio di Stato, trovandosi a giudicare su di un appalto di servizi ad alta intensità di manodopera, ma al contempo avente “caratteristiche standardizzate” (nella specie, un servizio di vigilanza antincendio), rimette all’Adunanza plenaria la risoluzione del contrasto giurisprudenziale sulla questione della prevalenza, o meno, del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa rispetto al criterio del minor prezzo, nella cornice del rapporto tra il comma 3, lett. a), dell’art. 95 del d.lgs. n. 50 del 2016 (che impone espressamente il primo dei due criteri per i “servizi ad alta intensità di manodopera”) ed il comma 4, lett. b), del medesimo articolo (che, invece, facoltizza la stazione appaltante a scegliere il secondo dei due criteri nel caso in cui i servizi o le forniture abbiano “caratteristiche standardizzate”).

UNA NUOVA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO SULLA DEMOLIZIONE DEGLI ABUSI EDILIZI

Il Consiglio di Stato con sentenza n. 6983/2018 ha affrontato da par suo il problema della demolizione degli abusi edilizi ponendo fine anche alla questione del fattore tempo.

Ai fini della legittimazione passiva del soggetto destinatario dell’ordine di demolizione, l’art 31 del d.P.R. n. 380/2001 individua quali soggetti passivi della demolizione sia colui o coloro i quali aventi il potere di rimuovere concretamente l’abuso – potere-dovere che grava sul proprietario – sia i soggetti che abbiano realizzato gli abusi, su immobile poi alienato a terzi.

Il presupposto per l’adozione di un’ordinanza di ripristino non è l’accertamento di responsabilità nella commissione dell’illecito, bensì l’esistenza di una situazione dei luoghi contrastante con quella prevista nella strumentazione urbanistico-edilizia: sicché sia il soggetto che abbia la titolarità a eseguire l’ordine ripristinatorio – ossia in virtù del diritto dominicale il proprietario –che il responsabile dell’abuso sono destinatari della sanzione reale del ripristino dei luoghi e quindi legittimati attivi all’impugnazione della sanzione.

D’altra parte, l’acquirente dell’immobile abusivo o del sedime su cui è stato realizzato succede in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi relativi al bene ceduto facenti capo al precedente proprietario, ivi compresa l’abusiva trasformazione, subendo gli effetti sia del diniego di sanatoria, sia dell’ingiunzione di demolizione successivamente impartita, pur essendo l’abuso commesso prima del passaggio di proprietà (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2007, n. 40).

Da cui sortisce il presupposto di fatto – ossia la destinatarietà del provvedimento sanzionatorio – della legittimazione attiva all’impugnazione sia del(l’ex) proprietario alienante, esecutore delle opere che del(l’attuale) proprietario acquirente che subisce gli effetti dell’ordine di ripristino (cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 3210/2017).

Ad di là del fatto che il rilascio del titolo edilizio condizionato, la cui efficacia sia subordinata al verificarsi di una condizione sospensiva, futura ed incerta, è ipso facto inammissibile (da ultimo Cons. stato, sez. IV, 18 aprile 2018 n. 2366), non va passato sotto silenzio che la tettoia, strumentale all’attività d’impresa, preesisteva già a fare data dal 1981: tant’è che il Comune rilasciando il titolo edilizio, seppure condizionato, ne ha espressamente riconosciuto l’esistenza legittimandone l’utilizzazione.

Quantunque vada condiviso in termini generali l’orientamento, fatto proprio dal Tar con la sentenza appellata, a mente del quale la risalenza nel tempo dell’opera, di per sé, non incide sul potere di repressione dell’abuso da parte della P.A.

Vale a dire che di norma l’adozione dell’ordinanza di demolizione non richiede “alcuna specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto” (così, “ex multis”, Cons. di Stato, sez. VI, nn. 13 del 2015, 5792 del 2014 e 6702 del 2012).

Nondimeno, nel caso in cui, oltre alla situazione consolidatasi nel tempo, s’aggiunga – come nel caso di specie – il legittimo affidamento sulla permanenza ed utilizzazione della res abusiva ingenerato dal comportamento tenuto dall’amministrazione o dal rilascio di un titolo edilizio ancorché atipico, deve trovare applicazione il principio dettato da Cons. Stato, ad. plen., 17 ottobre 2017 n. 8.

Indirizzo giurisprudenziale, qui condiviso, in forza del quale l’ordine di demolizione necessita di una ponderata motivazione che dia conto della valutazione degli opposti interessi: quello del titolare del bene alla conservazione ed utilizzazione della res, risalente nel tempo e fatta oggetto di un provvedimento autorizzativo mai rimosso, con quello dell’amministrazione al ripristino illico et immediate dell’assetto del territorio compromesso dalla permanenza in locodell’abuso.

Come lamentato dagli appellanti nel secondo e terzo motivo, il Comune non ha compiuto tale comparazione prima d’adottare l’ordinanza impugnata.

Di fatto, l’ordinanza di demolizione irrogata risulta insufficientemente motivata: all’individuazione della struttura, delle sue caratteristiche e del carattere abusivo per l’assenza del necessario permesso di costruire “tipico”, non ha fatto riscontro – nel prisma dell’interesse pubblico al corretto uso e ripristino del territorio – la valutazione della preesistenza nel tempo della res e dell’affidamento ingenerato sui titolari di essa per effetto del rilascio del titolo edilizio condizionato mai previamente annullato.

Sicché è condivisibile l’ulteriore argomento dedotto dagli appellanti, fondato sulla previa qualificazione della sanzione della demolizione quale “extrema ratio” da bilanciare con altri interessi ed esigenze, che, nel caso in esame, la demolizione del manufatto abusivo non costituisca affatto l’unico rimedio concretamente idoneo a soddisfare le esigenze di tutela del territorio sottese alla normativa di riferimento.

Tanto più per il fatto che il pregiudizio derivante dalla demolizione della struttura abusiva, strumentale all’attività d’impresa, andrebbe dovuto essere valutato nella prospettiva della possibile compromissione dell’attività economica svolta.

Con riguardo ai restanti abusi di cui all’ordinanza impugnata – ossia alla tettoia con struttura in tubi, scatoloni di ferro e copertura con tegole marsigliesi di circa 3,20 mt di larghezza e altezza da m 2,50 a 2,95 nonché all’apertura con opere di consolidamento e puntellamento di circa 14 cm che collega magazzino ad officina mette conto rilevare – va scrutinato l’effettivo rilievo delle opere sotto il profilo urbanistico ed edilizio.

In assenza di vincoli paesaggistici o idrogeologici, nel (presunto) rispetto – come nel caso in esame – di altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia (cfr., ad esempio: norme antisismiche, di sicurezza antincendio, igienico sanitarie, di rispetto della normativa civilistica sui confini), la tettoia aperta ai lati di limitate dimensioni e il consolidamento di aperture sulle strutture murarie preesistenti, per ricavare un andito transitabile fra immobili contigui di proprietà, non integrano ipso facto, benché eseguiti senza i relativi titoli edilizi, abusi edilizi passibili d’immediata demolizione (c,fr. Cons. Stato, sez. VI, 7 maggio 2018 n. 2715).

A riguardo, la recente normativa di cui all’art. 1, comma 2, d.lgs. 25 novembre 2016 n. 222, come integrata in via interpretativa dal D.M. 2 marzo 2018 (pubblicato nella G.U. 7 aprile 2018 n.81, di “Approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività edilizia libera”), individua in via tassonomica tutta una serie d’interventi che, non incidendo sul carico urbanistico, per (limitate) dimensioni strutturali e tipologia s’inscrivono nell’ambito della liberalizzazione degli interventi edilizi.

E che, conseguentemente, onera il Comune a valutare l’effettiva entità degli abusi minori per concentrare l’attenzione e l’effettiva applicazione dell’apparato sanzionatorio del ripristino sugli illeciti edilizi in grado, essi sì, di compromettere il tessuto urbano e quello ambientale.

LA CIRCOLARE DELLA RGS N.4/2019

Con la Circolare n. 4 del 15 febbraio scorso la ragioneria generale dello Stato ha impartito disposizioni per l’accertamento dei residui passivi di bilancio e dei residui passivi perenti alla chiusura dell’esercizio 2018 ai fini della redazione del conto consuntivo e delle poste del conto del patrimonio relative ai residui passivi perenti.

Si tratta di disposizioni indirizzate alle Amministrazioni centrali dello Stato che peraltro contengono indicazioni utili anche per gli enti locali.

LA PROPOSTA DI LEGGE DELLA SENATRICE USA ELIZABETH WARREN PER RIDURRE LE DISUGUAGLIANZE

Washington, DC – Sulla pagina della senatrice degli Stati Uniti Elizabeth Warren (D-Massachussets.) è apparso questo comunicato molto interessante relativo ad una proposta di legge per applicare una tassa patrimoniale negli USA.

La senatrice Warren ha presentato nei giorni scorsi l’Ultra-Millionaire Tax, una proposta coraggiosa di tassare la ricchezza del più ricco 0,1% degli americani. La legislazione, che si applica solo alle famiglie con un patrimonio netto di $ 50 milioni o più, è stimata dai principali economisti a raccogliere $ 2,75 miliardi di entrate fiscali su un periodo di dieci anni. Per decenni, un piccolo gruppo di famiglie ha raccolto una grande quantità di ricchezza che i lavoratori americani hanno prodotto, mentre la classe media americana è stata svuotata. Il risultato è un’estrema concentrazione di ricchezza non vista in nessun’altra economia leader. Secondo un’analisi degli economisti Emmanuel Saez e Gabriel Zucman dell’Università della California-Berkeley, il più ricco 0,1% ha visto la sua quota di ricchezza americana quasi triplicare dal 7% al 20% tra la fine degli anni ’70 e il 2016, mentre la parte inferiore 90 % ha visto diminuire la sua quota di ricchezza dal 35% al ​​25% nello stesso periodo. In altre parole, le 130.000 famiglie più ricche in America ora detengono quasi la stessa ricchezza delle 117 milioni di famiglie più basse messe insieme.Il sistema fiscale USA si concentra sulla tassazione del reddito, ma la ricchezza di una famiglia è anche una misura importante di quanto ha beneficiato dell’economia e della sua capacità di pagare le tasse. Giudicato contro la ricchezza, il sistema fiscale USA chiede ai ricchi di pagare molto meno di tutti gli altri. Secondo Saez e Zucman, quest’anno le famiglie del primo 0,1% devono pagare il 3,2% della loro ricchezza in tasse federali, statali e locali, mentre il 99% inferiore è previsto per il 7,2%. “È tempo di trasformare radicalmente il nostro codice fiscale in modo da tassare la ricchezza degli ultra-ricchi, non solo il loro reddito”, ha affermato la senatrice Warren. “Chiedendo alle nostre migliori 75.000 famiglie di pagare la loro giusta quota, la mia proposta contribuirà ad affrontare la concentrazione di ricchezza in fuga e allo stesso tempo accelerare gli investimenti necessari nella ricostruzione della nostra classe media”. L’Ultra-Millionaire Tax tassa la ricchezza degli americani più ricchi. Si applica solo alle famiglie con un patrimonio netto di $ 50 milioni o più, circa le famiglie più abbienti di 75.000 o lo 0,1% superiore. Le famiglie pagherebbero una tassa annuale del 2% su ogni dollaro di patrimonio netto superiore a $ 50 milioni e una tassa del 3% su ogni dollaro di valore netto superiore a $ 1 miliardo. Poiché la ricchezza è così concentrata, Saez e Zucman prevedono che questa piccola tassa su circa 75.000 famiglie porterà in $ 2,75 miliardi di entrate in un periodo di dieci anni. La tassa ultra-milionaria imporrebbe: Zero imposta aggiuntiva su qualsiasi famiglia con un patrimonio netto inferiore a $ 50 milioni (99,9% delle famiglie americane) Imposta del 2% sul patrimonio netto delle famiglie tra $ 50 milioni e $ 1 miliardo 1% di Surtax annuale del miliardario (3% di tasse complessive) sul patrimonio netto della famiglia superiore a $ 1 miliardo  L’imposta sugli ultra-milionari include anche forti misure anti-evasione, incluse ma non limitate a: un aumento significativo del bilancio di esecuzione dell’IRS; un tasso di revisione minimo per i contribuenti soggetti all’imposta ultra-milionaria; una “tassa di uscita” del 40% sul patrimonio netto superiore a $ 50 milioni di qualsiasi cittadino degli Stati Uniti che rinuncia alla cittadinanza; e segnalazione sistematica di terzi che si basa su accordi di scambio di informazioni fiscali esistenti adottati dopo la legge sulla conformità fiscale in materia di contabilità estera.

Si tratta di una proposta ispirata al pensiero del premio Nobel Stiglitz che potrebbe essere presentata anche in Italia…chi se ne prenderà il merito ?

L’AUDIZIONE DELL’UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO SUL DISEGNO DI LEGGE 1018 SU REDDITO DI CITTADINANZA E PENSIONI

Fonte UPB

Il presidente dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB), Giuseppe Pisauro, è intervenuto oggi presso la Commissione Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato nell’ambito del ciclo di audizioni relative alla conversione in legge del decreto in materia di reddito di cittadinanza (RdC) e di pensioni. Il presidente UPB ha illustrato un documento sui contenuti del provvedimento focalizzando l’attenzione sulle principali caratteristiche delle nuove misure, sul loro perimetro d’intervento e sulle risorse ad esse destinate, sulle potenziali criticità alle quali sono esposte.

Il RdC si caratterizza rispetto ad altre misure di sostegno al reddito come ad esempio il reddito d’inclusione (REI) per un significativo aumento del livello delle soglie di selettività, della platea dei beneficiari e dell’importo del sussidio, nonché delle risorse pubbliche destinate al finanziamento dello strumento. L’UPB stima valori della platea dei beneficiari e delle spese sostanzialmente in linea con quelle riportate nella relazione tecnica al provvedimento.

Particolare enfasi è stata posta sull’offerta di forme di accompagnamento e aiuto ai soggetti in grado di svolgere un’attività lavorativa e sui dispositivi per evitare comportamenti opportunistici o elusivi da parte dei beneficiari. Nel disegno del RdC questo obiettivo si affida peraltro più a complessi meccanismi coercitivi che a incentivi volti a favorire la scelta spontanea di partecipare all’attività lavorativa.

L’incidenza dei nuclei beneficiati risulta fortemente differenziata a livello territoriale (fig. 1): il 56 per cento dei nuclei beneficiari è residente al Sud e nelle isole, mentre circa il 28 per centro è residente nel Nord. A fronte di un elevata copertura della povertà a livello nazionale (72,5 per cento rispetto alla platea potenziale dei nuclei familiari, 71,4 per cento del totale degli individui), l’allineamento tra RdC e povertà varia considerevolmente tra le diverse aree geografiche: la percentuale  dei nuclei beneficiari è prossima a quella dei nuclei in povertà assoluta nel Mezzogiorno (rispettivamente i beneficiari sono l’8,4 per cento nel Sud e il 9,8 per cento nelle isole contro una incidenza della povertà assoluta, rispettivamente, del 10,2 e del 10,5 per cento), sensibilmente più bassa al Centro e al Nord (il RdC raggiunge il 3,1 per cento nel Nord-Ovest e il 2,6 per cento nel Nord-Est, contro una incidenza della povertà assoluta, rispettivamente, del 5,7 e del 4,8 per cento). A incidere sono da un lato l’uniformità del beneficio confrontato con la forte eterogeneità territoriale delle soglie di povertà, dall’altro l’esclusione di una fetta della platea degli stranieri che contribuisce a ridurre la diffusione del reddito di cittadinanza al Nord dove la loro presenza è maggiore.

Secondo l’UPB per come è congegnato il RdC è connotato dalla debolezza degli incentivi a partecipare spontaneamente all’attività lavorativa.

Al momento della richiesta del beneficio l’intero reddito da lavoro guadagnato entra nel reddito del nucleo familiare da integrare con il RdC, il che corrisponde all’applicazione di un’imposta implicita del 100 per cento se il reddito da lavoro è pari o inferiore alla soglia.

I soggetti che lavorano e che percepiscono salari bassi avranno pertanto una disponibilità economica uguale a quelli che non lavorano. Inoltre questo disincentivo è aggravato dal fatto che la misura del RdC potrebbe spiazzare segmenti del mercato del lavoro – soprattutto al Sud – caratterizzati da retribuzioni particolarmente modeste eventualmente dovute a rapporti part-time o di collaborazione, per i quali l’attività lavorativa non risulterebbe economicamente conveniente.

Quanto alle misure coercitive, il principale disincentivo a comportamenti opportunistici è costituito dall’obbligo di accettare offerte di lavoro congrue. La credibilità di questo meccanismo non appare scontata e dipenderà dall’effettiva dimensione della disoccupazione frizionale, dall’efficacia dei Centri per l’impiego nel mettere in contatto domanda e offerta di lavoro, dalla convenienza delle imprese a rivolgersi ai beneficiari del RdC per colmare le proprie vacancies.

Sul versante delle misure in materia pensionistica – la principale delle quali è la cosiddetta “quota 100” – le simulazioni condotte dall’UPB forniscono risultati sostanzialmente in linea con le valutazioni ufficiali per quanto riguarda sia il maggior numero di pensioni in pagamento nei prossimi dieci anni sia la connessa maggiore spesa. Il maggior numero di pensioni a fine anno ammonterebbe a poco più di 314.000 nel 2019, per poi aumentare sino a poco più di 372.000 nel 2021 e quindi ridursi gradualmente sino a 150.000 circa nel 2028. La maggiore spesa lorda ammonterebbe a circa 4 miliardi nel 2019, per poi aumentare sino a circa 8,6 miliardi nel 2021 e di lì cominciare a ridursi più rapidamente dal 2024 (circa 1,4 miliardi nel 2028).

Tenendo conto che l’anticipo della pensione riduce la rata ma aumenta il numero degli anni di fruizione, “quota 100” risulterà conveniente per gran parte di coloro che matureranno i requisiti nel 2019, soprattutto se rientrano nel calcolo retributivo e hanno un tasso di sconto intertemporale superiore al 3 per cento.

LA CONSULTA DICHIARA INCOSTITUZIONALI LE NORME CHE CONSENTONO AI COMUNI DI SPALMARE SU 30 ANNI I LORO DEBITI

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 18 in data 14 febbraio 2019 ha stabilito che è incostituzionale la disposizione che consente agli enti locali in stato di predissesto di ricorrere all’indebitamento per gestire in disavanzo la spesa corrente per un trentennio. Lo ha affermato la Corte costituzionale con la sentenza n. 18 depositata oggi (relatore Aldo Carosi). La procedura di prevenzione dal dissesto degli enti locali è costituzionalmente legittima solo se supportata da un piano di rientro strutturale di breve periodo. Il legislatore statale – sulla base dei principi del federalismo solidale – può destinare nuove risorse per risanare gli enti che amministrano le comunità più povere ma non può consentire agli enti, che presentano bilanci strutturalmente deficitari, di sopravvivere per decenni attraverso la leva dell’indebitamento. Quest’ultimo, ha rilevato la Corte, deve essere riservato, in conformità all’articolo 119, sesto comma, della Costituzione, alle sole spese di investimento (cosiddetta regola aurea). Per la prima volta la Consulta è stata chiamata a pronunciarsi su una questione incidentale promossa da una sezione regionale della Corte dei conti in sede di controllo sulla corretta attuazione della procedura di predissesto degli enti locali. La disposizione annullata è stata dichiarata in contrasto con gli articoli 81 e 97 della Costituzione sotto tre diversi profili: violazione dell’equilibrio del bilancio, in relazione alla maggiore spesa corrente autorizzata nell’arco del trentennio; violazione dell’equità intergenerazionale, per aver caricato sui futuri amministrati gli oneri conseguenti ai prestiti contratti nel trentennio per alimentare la spesa corrente; violazione del principio di rappresentanza democratica, in quanto sottrae agli elettori e agli amministrati la possibilità di giudicare gli amministratori sulla base dei risultati raggiunti e delle risorse effettivamente impiegate nel corso del loro mandato. “La regola aurea contenuta nell’articolo 119, sesto comma, della Costituzione dimostra – si legge nella sentenza – come l’indebitamento debba essere finalizzato e riservato unicamente agli investimenti in modo da determinare un tendenziale equilibrio tra la dimensione dei suoi costi e i benefici recati nel tempo alle collettività amministrate. Di fronte all’impossibilità di risanare strutturalmente l’ente in disavanzo, la procedura del predissesto non può essere procrastinata in modo irragionevole, dovendosi necessariamente porre una cesura con il passato”.

L’AUTONOMIA DI ALCUNE REGIONI APPRODA AL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Si dovrebbe tenere venerdì 15 la seduta del Consiglio dei Ministri per esaminare la proposta di potenziamento dell’autonomia delle regioni del Nord EST.

Si tratta, com’è noto, di un provvedimento che mira a conferire ad alcune regioni che ne hanno fatto richiesta: veneto, Lombardia ed Emilia e Romagna le quali chiedono poteri molto vasti in tema di servizi pubblici anche basilari, come scuola e sanità.

Questa proposta non può riguardare solo loro, riguarda tutti gli italiani.

La rimodulazione degli equilibri istituzionali del nostro paese non può essere affidata a un accordo ristretto tra il ministro alle Autonomie e pochi governatori: dev’essere oggetto di un’ampia discussione perché in uno Stato unito cambiamenti di simile portata richiedono assoluta condivisione.

Il rischio è quello di realizzare una nuova frattura tra nord e sud e di aumentare le diseguaglianze tra i cittadini .

Di fatto, nonostante le apparenze appare un provvedimento che potrebbe avere profondi elementi di incostituzionalità colpendo proprio il principio dell’Unità.

Sotto accusa anche il sistema di finanziamento in quanto, non essendo stato ancora messo in pratica il metodo dei costi standard si proseguirà, almeno per qualche tempo con quello della spesa storica che penalizza spesso le regioni del sud.

Istruzioni per l’applicazione dell’«Aggiornamento delle “Norme tecniche per le costruzioni”» di cui al decreto ministeriale 17 gennaio 2018.

Con decreto ministeriale 17 gennaio 2018, pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 20 febbraio 2018, n. 42 è stato approvato l’aggiornamento delle «Norme tecniche per le costruzioni», testo normativo che raccoglie in forma unitaria le norme che disciplinano la progettazione, l’esecuzione ed il collaudo delle costruzioni al fine di garantire, per stabiliti livelli di sicurezza, la pubblica incolumità. Tale aggiornamento costituisce un più avanzato sistema normativo atto a fornire i criteri generali di sicurezza, a precisare le azioni che devono essere utilizzate nel progetto, a definire le caratteristiche dei materiali ed a trattare gli aspetti attinenti alla sicurezza strutturale delle opere, nuove ed esistenti: impostazione condivisa dal mondo accademico, professionale e produttivo-imprenditoriale. In considerazione del carattere innovativo di detto aggiornamento, si è ritenuto opportuno emanare la presente circolare applicativa che sostituisce la precedente circolare n. 617 del 2 febbraio 2009, relativa alle norme tecniche approvate con decreto ministeriale 14 gennaio 2008, la quale ha lo scopo di fornire agli operatori del settore, ed in particolare ai progettisti, opportuni chiarimenti, indicazioni ed clementi informativi per una più agevole ed univoca applicazione delle norme stesse. Pur essendo state apportate numerose e significative modifiche rispetto alla precedente circolare, non è stato cambiato l’impianto generale e l’articolazione del documento e, pertanto, il testo è articolato conformemente alle norme tecniche di cui mantiene la medesima strutturazione in capitoli e paragrafi., al fine di una più agevole consultazione. Ora sulla Gazzetta Ufficiale n. 35/2019 è stata pubblicata la Circolare attuativa n. 7/2019 che è stata sottoposta al parere dell’Assemblea generale del Consiglio superiore dei lavori pubblici, che si è espressa favorevolmente in data 27 luglio 2018, con voto n. 29/2017.

LA CORTE DEI CONTI PROGRAMMA I CONTROLLI PER L’ANNO 2019

Con la deliberazione n. 3 in data 30 gennaio 2019 la Sezione delle Autonomie della corte dei conti ha delineato il programma dei controlli che saranno effettuati nel corso di quest’anno:
a) organismi partecipati dagli enti territoriali, utilizzando le informazioni provenienti dalla banca dati “Partecipazioni” allo scopo di continuare il monitoraggio dei risultati della loro gestione economico-finanziaria in stretta connessione con i flussi finanziari provenienti dagli enti stessi;

b) gestione finanziaria dei Servizi sanitari regionali, per confrontare i risultati raggiunti in termini di spesa (corrente e di investimento) con il quadriennio precedente e valutare il grado complessivo di tutela del diritto alla salute espresso dai livelli essenziali di assistenza (Lea);

c) costo del personale, avvalendosi delle informazioni contenute nella banca dati SICO relativamente alle unità impiegate nel settore degli enti territoriali (numero di dipendenti, tipologia di rapporto di lavoro, età, anzianità lavorativa, retribuzione fissa ed accessoria, distribuzione dei dipendenti nei diversi livelli economici);

d) controlli interni, per ulteriori approfondimenti sul percorso di attuazione del sistema dei controlli degli Enti locali tenuti alla compilazione della relazione annuale da adottare sulla base delle “Linee guida” previste dall’art. 148 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (TUEL);

e) attuazione del processo di digitalizzazione dell’amministrazione: in coerenza con le finalità del protocollo d’intesa stipulato tra Corte dei conti e Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale potrà essere avviata una ricognizione dello stato di attuazione da parte degli enti territoriali dei principali progetti in materia di amministrazione digitale, al fine di fornire al Parlamento un quadro generale della situazione e alle sezioni regionali di controllo elementi per poter dar corso ad ulteriori approfondimenti in occasione delle verifiche operate sugli enti di competenza;

f) altri profili di attualità nell’ambito della finanza pubblica che siano stati oggetto di significative riforme normative o che richiedano un monitoraggio costante in termini di impatto sugli equilibri finanziari degli enti territoriali.