Il TAR della Lombardia, Sez. III, Sentenza 11 ottobre 2017, n. 195 si è espresso in merito all’art. 5 del D.lgs. 33/2013, modificato dal D.lgs. 97/2016, che ha introdotto nel nostro ordinamento l’istituto dell’accesso civico a dati e documenti.
Com’è noto il testo della disposizione, in particolare i commi 1 e 2 è il seguente:
“1. L’obbligo previsto dalla normativa vigente in capo alle pubbliche amministrazioni di pubblicare documenti, informazioni o dati comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione.
2. Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis”.
Le fattispecie di cui al comma 1 e al comma 2 dell’art. 5 sono diverse: mentre il comma 1 riguarda documenti, informazioni o dati per i quali è previsto l’obbligo normativo della pubblicazione, il comma 2 invece riguarda dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del decreto. La distinzione riguarda l’ambito oggettivo di applicazione dell’istituto, ma non quello soggettivo, potendo “chiunque” esercitare sia l’accesso civico, di cui al primo comma, sia quello c.d. generalizzato, di cui al secondo comma.
L’accesso generalizzato – introdotto dal D.lgs. n. 97/2016 – ha la sua ratio nella dichiarata finalità di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.
Posta questa finalità, l’istituto, che costituisce uno strumento di tutela dei diritti dei cittadini e di promozione della partecipazione degli interessati all’attività amministrativa (cfr. art. 1 D.lgs. 33/2013, come modificato dall’art. 2 D.lgs. 97/2016), non può, ad avviso del Collegio, essere utilizzato in modo disfunzionale rispetto alla predetta finalità ed essere trasformato in una causa di intralcio al buon funzionamento dell’amministrazione. La valutazione dell’utilizzo secondo buona fede va operata caso per caso, al fine di garantire – in un delicato bilanciamento – che, da un lato, non venga obliterata l’applicazione dell’istituto, dall’altro lo stesso non determini una sorta di effetto “boomerang” sull’efficienza dell’Amministrazione.
Ora, nel caso di specie l’istanza di accesso di cui è causa, volta ad ottenere “tutte le determinazioni complete degli allegati emanate nel corso dell’anno 2016 da tutti i responsabili dei servizi nell’anno 2016” – cui peraltro hanno fatto seguito due ulteriori istanze volte ad ottenere tutte le determinazioni di tutti i Settori dell’Ente emanate nei mesi di gennaio, febbraio e marzo, queste ultime non oggetto del presente giudizio – costituisce una manifestazione sovrabbondante, pervasiva e, in ultima analisi, contraria a buona fede dell’istituto dell’accesso generalizzato.
Non è passibile di censura, ad avviso del Collegio, la motivazione del diniego espressa dal Comune di Broni (affidata a ben quattro pagine di argomentazioni), laddove ha ritenuto di rinvenire nell’istanza del ricorrente un’ipotesi di “richiesta massiva”, così come definita dalle Linee Guida adottate dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) con determinazione del 28 dicembre 2016, che impone un facere straordinario, capace di aggravare l’ordinaria attività dell’Amministrazione.
La richiesta di tutte le determinazioni di tutti i responsabili dei servizi del Comune assunte nel 2016 implica necessariamente l’apertura di innumerevoli subprocedimenti volti a coinvolgere i soggetti controinteressati.
Non può essere poi trascurata una circostanza di fatto riferita dalla difesa dell’Amministrazione e non contestata dal ricorrente: dal novembre 2015 all’agosto 2017 l’odierno ricorrente ha rivolto al Comune 73 richieste di accesso.
Sotto un profilo generale il Collegio ritiene debba essere richiamato il principio di buona fede e del correlato divieto di abuso del diritto. Il dovere di buona fede, previsto dall’art. 1175 del c.c., alla luce del parametro di solidarietà, sancito dall’art. 2 della Costituzione e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, si pone, secondo i più recenti approdi di dottrina e giurisprudenza, non più solo come criterio per valutare la condotta delle parti nell’ambito dei rapporti obbligatori, ma anche come canone per individuare un limite alle richieste e ai poteri dei titolari di diritti, anche sul piano della loro tutela processuale.
La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di precisare che l’abuso del diritto si configura in presenza dei seguenti elementi costitutivi:
1) la titolarità di un diritto soggettivo in capo ad un soggetto;
2) la possibilità che il concreto esercizio di quel diritto possa essere effettuato secondo una pluralità di modalità non rigidamente predeterminate;
3) la circostanza che tale esercizio concreto, anche se formalmente rispettoso della cornice attributiva di quel diritto, sia svolto secondo modalità censurabili rispetto ad un criterio di valutazione, giuridico od extragiuridico;
4) la circostanza che, a causa di una tale modalità di esercizio, si verifichi una sproporzione ingiustificata tra il beneficio del titolare del diritto ed il sacrifico cui è soggetta la controparte” (cfr. Consiglio di Stato, sez. V 7 febbraio 2012, n. 656).
Alla luce di tali principi, il Collegio è dell’avviso che l’istanza del ricorrente – anche tenuto conto delle precedenti istanze e di quelle successive – costituisca un abuso dell’istituto, in quanto irragionevole e sovrabbondante. Va peraltro osservato che ciò che le Linee Guida dell’ANAC qualifica come “richieste massive”, e che giustifica, con adeguata motivazione, il rigetto dell’istanza, altro non è che la declinazione del principio di divieto di abuso del diritto e di violazione del principio di buona fede.