L’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO APRE LE PORTE ALL’ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO IN MATERIA DI ESECUZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI

ROMA – PALAZZO SPADA, SALA DEI FATTI DEGLI ANTICHI ROMANI

Il Consiglio di Stato nell’ Adunanza Plenaria del 19 febbraio scorso ha affrontato il problema della disciplina dell’accesso civico generalizzato, con riferimento agli atti delle procedure di gara dei contratti pubblici ma anche agli atti relativi alla loro esecuzione.

Al riguardo l’adunanza ha ritenuto la sentenza n.10/2020 che la disciplina dell’accesso civico generalizzato, fermi i divieti temporanei e/o assoluti di cui all’art. 53 del d. lgs. n. 50 del 2016, è applicabile anche agli atti delle procedure di gara e, in particolare, all’esecuzione dei contratti pubblici, non ostandovi in senso assoluto l’eccezione del comma 3 dell’art. 5-bis del d. lgs. n. 33 del 2013 in combinato disposto con l’art. 53 e con le previsioni della l. n. 241 del 1990, che non esenta in toto la materia dall’accesso civico generalizzato, ma resta ferma la verifica della compatibilità dell’accesso con le eccezioni relative di cui all’art. 5-bis, comma 1 e 2, a tutela degli interessi-limite, pubblici e privati, previsti da tale disposizione, nel bilanciamento tra il valore della trasparenza e quello della riservatezza.

Si tratta di una sentenza senza dubbio molto interessante ed evolutiva che apre un nuovo capitolo per dare maggiore trasparenza specialmente al controllo dei cittadini sul rispetto dei contratti di servizio (rifiuti, pulizie, ristorazione collettiva, assistenza domiciliare, ecc.) da parte delle imprese pubbliche o private che li gestiscono.

Ora tocca ai cittadini avvalersi di questa nuova opportunità cominciando a saggiare la reattività degli enti locali facendo richieste specifiche.

IL PRESUPPOSTO DELL’ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO E’ CHE SIA STRUMENTALE ALLA TUTELA DI UN INTERESSE GENERALE

La quinta Sezione del Consiglio di Stato con la sentenza 1121/2020 ha affrontato, ancora una volta il tema dell’accesso civico generalizzato stabilendo che il presupposto necessario perché sia ammissibile l’istanza di accesso civico generalizzato è che sia strumentale alla tutela di un interesse generale.

Il Collegio ha argomentato come segue:

In un primo tempo è stato introdotto l’accesso civico c.d. “semplice”, imperniato su obblighi di pubblicazione gravanti sulla pubblica amministrazione e sulla legittimazione di ogni cittadino a richiederne l’adempimento; quindi, l’accesso civico generalizzato, azionabile da chiunque senza previa dimostrazione della sussistenza di un interesse personale, concreto e attuale in connessione con la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza alcun onere di motivazione in tal senso della richiesta, allo scopo di consentire una pubblicità diffusa ed integrale in rapporto alle finalità esplicitate dall’art. 5, comma 2 del d.lgs. n. 33 del 2013.

La diversità strutturale degli interessi giuridici presi in considerazione (e tutelati) non consente quindi una sovrapposizione tra e diverse figure di accesso, destinate ad operare in contesti e per finalità del tutto differenti.

Vi è, in primo luogo, una fondamentale differenza tra accesso documentale ed accesso “civico”, sia semplice che generalizzato: il primo consente infatti un’ostensione più approfondita, in ragione della sua strutturale correlazione con un interesse privato del richiedente (generalmente a fini difensivi).

L’accesso civico, invece, è funzionale ad un controllo diffuso del cittadino, al fine specifico, da un lato, di assicurare la trasparenza dell’azione amministrativa per l’ipotesi in cui non siano stati compiutamente rispettati gli obblighi al riguardo già posti all’amministrazione da una norma di legge, nonché – dall’altro – per operare un più incisivo e preventivo contrasto alla corruzione: in quanto tale consente sì una conoscenza potenzialmente più estesa rispetto a quella accordata dalla l. n. 241 del 1990 ai soggetti privati per la tutela dei propri interessi, ma d’altro canto meno approfondita, in quanto concretamente si traduce nel diritto ad un’ampia diffusione di dati, documenti ed informazioni, fermi però ed in ogni caso i limiti posti dalla legge a salvaguardia di determinati interessi pubblici e privati che in tali condizioni potrebbero essere messi in pericolo.

Limiti che, come si dirà più oltre, non sono caratterizzati dal principio della tassatività, operando piuttosto secondo categorie generali.

Espressiva di tale diversità è la constatazione che, mentre la legge n. 241 del 1990 esclude espressamente l’utilizzabilità del diritto di accesso anche ai fini di un controllo generale dell’azione amministrativa (essendo, quest’ultima, una finalità del tutto estranea alla tutela dell’interesse privato ed individuale che solo legittima e giustifica l’ostensione documentale), il diritto di accesso generalizzato è invece riconosciuto proprio “allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico”. La trasparenza perseguita dall’istituto in esame altro non è infatti che lo strumento principale con cui può effettivamente assicurarsi un controllo diffuso del rispetto della legalità dell’azione amministrativa.

Diverse sono conseguentemente le tecniche di bilanciamento degli interessi contrapposti, che giustificano l’esclusione della possibilità di accesso: in particolare, per quanto riguarda l’accesso privato ai documenti amministrativi (ex lege n. 241 del 1990), il legislatore ha preventivamente individuato – in modo preciso – le categorie di atti ad esso sottratte (sia mediante espressa previsione di legge, sia rinviando a specifiche fonti regolamentari di attuazione e dettaglio); per contro, la disciplina dell’accesso generalizzato non reca prescrizioni puntuali, bensì individua delle categorie di interessi, pubblici (art. 5-bis, comma primo, d.lgs. n. 33 del 2013) e privati (art. 5-bis, comma 2) in presenza dei quali il diritto in questione può a priori essere negato (fermi comunque i casi di divieto assoluto, ex art. 5-bis, comma 3) e rinvia ad un atto amministrativo non vincolante (le linee-guida Anac) per ulteriormente precisare l’ambito operativo dei limiti e delle esclusioni dell’accesso civico generalizzato.

Diverse sono anche le conseguenze del mancato accesso, da un punto di vista processuale.

Nel caso di accesso tradizionale si forma il silenzio rigetto, una volta decorsi infruttuosamente 30 giorni dalla richiesta del privato interessato.

Nel caso dell’accesso civico, invece, sia nel caso di diniego parziale o totale che di mancata risposta allo scadere del termine per provvedere, non si forma alcun silenzio rigetto, ma l’istante può attivare una speciale tutela amministrativa interna innanzi al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, formulando istanza di riesame alla quale dovrà essere dato riscontro entro i termini di legge.

Sarà quindi onere, per l’interessato, contestare l’inerzia dell’amministrazione attivando lo specifico rito di cui all’art. 117 Cod. proc. amm. ovvero, in ipotesi di diniego espresso (anche sopravvenuto), il rito sull’accesso ex art. 116 Cod. proc. amm.

Alla luce del quadro normativo in materia, deve quindi concludersi che uno solo è il presupposto imprescindibile di ammissibilità dell’istanza di accesso civico generalizzato, ossia la sua strumentalità alla tutela di un interesse generale. La relativa istanza, dunque, andrà in ogni caso disattesa ove tale interesse generale della collettività non emerga in modo evidente, oltre che, a maggior ragione, nel caso in cui la stessa sia stata proposta per finalità di carattere privato ed individuale.

Lo strumento in esame può pertanto essere utilizzato solo per evidenti ed esclusive ragioni di tutela di interessi propri della collettività generale dei cittadini, non anche a favore di interessi riferibili, nel caso concreto, a singoli individui od enti associativi particolari: al riguardo, il giudice amministrativo è tenuto a verificare in concreto l’effettività di ciò, a nulla rilevando – tantomeno in termini presuntivi – la circostanza che tali soggetti eventualmente auto-dichiarino di agire quali enti esponenziali di (più o meno precisati) interessi generali.

Deve pertanto concludersi che, sebbene il legislatore non chieda all’interessato di formalmente motivare la richiesta di accesso generalizzato, la stessa vada disattesa, ove non risulti in modo chiaro ed inequivoco l’esclusiva rispondenza di detta richiesta al soddisfacimento di un interesse che presenti una valenza pubblica, essendo del tutto estraneo al perimetro normativo della fattispecie la strumentalità (anche solo concorrente) ad un bisogno conoscitivo privato.

In tal caso, invero, non si tratterebbe di imporre per via ermeneutica un onere non previsto dal legislatore, bensì di verificare se il soggetto agente sia o meno legittimato a proporre la relativa istanza.

Nel giudizio amministrativo la sussistenza dell’interesse e della legittimazione ad agire è infatti valutabile d’ufficio in qualunque momento del giudizio. La mancanza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione è rilevabile d’ufficio dal giudice in ogni stato e grado del processo (art. 35, comma primo, Cod. proc. amm.), poiché essi costituiscono i fattori ai quali la legge, per inderogabili ragioni di ordine pubblico, subordina l’esercizio dei poteri giurisdizionali (ex plurimis, Cons. Stato, IV, 28 settembre 2016, n. 4024)

In difetto dei presupposti di cui sopra sarà quindi preciso onere del soggetto interessato avvalersi –laddove ne sussistano i presupposti – della specifica tutela accordata dalle disposizioni di cui al Capo V della l. 7 agosto 1990, n. 241.

Tale conclusione risponde in primo luogo alla necessità di impedire sovrapposizioni tra le diverse (e tuttora vigenti) discipline legislative in materia di accesso, ma è altresì coerente con la specifica finalità dell’istituto ora in esame, consistente – come già detto – esclusivamente nel “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico” (art. 5, comma 2 d.lgs. n. 33 del 2013), laddove quest’ultimo inciso non rileva in termini puramente generali ed astratti (ossia quale dibattito su qualsiasi oggetto), ma è riferito ai due obiettivi sostanziali che lo precedono nel testo della norma (il che spiega anche la devoluzione proprio all’Autorità nazionale anticorruzione e non ad altri del compito di definire delle linee-guida recanti indicazioni operative in materia di esclusioni e limiti all’accesso).

Individuati nei termini che precedono i presupposti operativi dell’accesso generalizzato, vanno ora delineati i limiti concreti alla sua operatività in ragione di prestare una tutela a determinate categorie di interessi.

Al riguardo, l’art. 5-bis, comma primo del d.lgs n. 33 del 2013 prevede che l’accesso civico deve essere rifiutato “se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a:
a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico;
b) la sicurezza nazionale;
c) la difesa e le questioni militari;
d) le relazioni internazionali;
e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; […]
Il diritto di cui all’articolo 5, comma 2, è escluso nei casi di segreto di Stato e negli altri casi di divieti di accesso o divulgazione previsti dalla legge, ivi compresi i casi in cui l’accesso è subordinato dalla disciplina vigente al rispetto di specifiche condizioni, modalità o limiti, inclusi quelli di cui all’articolo 24, comma 1, della legge n. 241 del 1990 […]”.

Il legislatore individua dunque, quale ostacolo all’esercizio dell’accesso generalizzato, una serie di interessi – di rilievo costituzionale – la cui tutela è imprescindibile per la funzionalità dell’apparato dello Stato, in quanto attenenti all’essenza stessa della sua sovranità (interna ed internazionale).

Ne consegue che il diniego eventualmente opposto all’istanza, presupponendo una valutazione eminentemente discrezionale che non di rado può involgere – ratione materiae – profili di insindacabile merito politico, non potrebbe in alcun modo essere superato da una parallela valutazione del giudice amministrativo, il cui sindacato in materia va strettamente circoscritto alle ipotesi di manifesta e macroscopica contraddittorietà o irragionevolezza.

Il giudice amministrativo può quindi sindacare le valutazioni dell’amministrazione in ordine al diniego opposto solamente sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell’istruttoria, ma non procedere ad un’autonoma verifica della necessità del diniego opposto o della sua eventuale superabilità, sia pure parziale.

Una siffatta valutazione, infatti, verrebbe ad integrare un’inammissibile invasione della sfera propria della pubblica amministrazione: tale sindacato rimane dunque limitato ai casi di macroscopiche illegittimità, quali errori di valutazione gravi ed evidenti, oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto.

Alla luce dei rilievi che precedono, deve concludersi per la fondatezza dell’appello.

IL COMUNE NON PUO’ SINDACARE LA FINALITA’ CHE SPINGE IL RICHIEDENTE A PRESENTARE ISTANZA DI ACCESSO CIVICO GENERALIZZATO

TAR BRESCIA

Il TAR Lombardia – Brescia, con sentenza n. 10/2020 ha affrontato la questione dell’accesso generalizzato.

In particolare il Collegio ha affermato quanto segue:

Il nuovo accesso civico, che attiene alla cura dei beni comuni a fini d’interesse generale, si affianca, senza sovrapposizioni, alle forme di pubblicazione on line di cui al decreto trasparenza del 2013 e all’accesso agli atti amministrativi del 1990, consentendo, del tutto coerentemente con la ratio che lo ha ispirato, l’accesso alla generalità degli atti e delle informazioni, senza onere di motivazione, a tutti i cittadini singoli e associati, in modo da far assurgere la trasparenza a condizione indispensabile per favorire il coinvolgimento dei cittadini nella cura della “cosa pubblica”, oltreché mezzo per contrastare ogni ipotesi di corruzione e per garantire l’imparzialità e il buon andamento dell’Amministrazione (in tal senso, Consiglio di Stato, sez. III, 6 marzo 2019, n. 1546).

Con il D.Lgs n. 33/2013, infatti, viene assicurata ai cittadini la possibilità di conoscere l’organizzazione e l’attività delle pubbliche amministrazioni anche attraverso l’obbligo a queste imposto di pubblicare sui siti istituzionali, nella sezione denominata “Amministrazione trasparente”, i documenti, i dati e le informazioni concernenti le scelte amministrative operate (artt. 12 e ss.), ad esclusione dei documenti per i quali è esclusa la pubblicazione, in base a norme specifiche ovvero per ragioni di segretezza, secondo quanto indicato nello stesso decreto.

Dunque, l’accesso civico generalizzato è azionabile da chiunque, senza la previa dimostrazione della sussistenza di un interesse attuale e concreto per la tutela di situazioni rilevanti, senza dover motivare la richiesta e con la sola finalità di consentire una pubblicità diffusa e integrale dei dati, dei documenti e delle informazioni che sono considerati, in base alle norme, come pubblici e quindi conoscibili.

L’art. 5, comma 2, del D.Lgs n. 33/2013 consente ai cittadini di accedere a dati e documenti (detenuti dalle Amministrazioni) “ulteriori” rispetto a quelli oggetto di pubblicazione, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi pubblici e privati individuati dal successivo art. 5 bis, conoscenza che deve portare a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico.

Per facilitare il raggiungimento di tale obiettivo, la disciplina prevista per l’accesso civico generalizzato dispone che questo non sia sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente; l’istanza non deve essere motivata; deve esclusivamente limitarsi a indicare i dati, le informazioni o i documenti che si intendono conoscere.

I limiti all’accesso civico generalizzato sono individuati dall’art. 5 bis del D.Lgs n. 33/2013: il comma 1 prevede che esso debba essere rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti “interessi pubblici”: – la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico; – la sicurezza nazionale; – la difesa e le questioni militari; – le relazioni internazionali; – la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato; – la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; – il regolare svolgimento di attività ispettive; il successivo comma 2 del medesimo articolo prevede che l’accesso generalizzato debba essere negato se ciò risulti necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti “interessi privati”: -la protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; -la libertà e la segretezza della corrispondenza; -gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali.

Infine, va precisato che la finalità soggettiva che spinge il richiedente a presentare istanza di accesso civico non è sindacabile: anche richieste di accesso civico presentate per finalità “egoistiche” possono favorire un controllo diffuso sull’amministrazione, se queste consentono di conoscere le scelte amministrative effettuate. Il controllo diffuso di cui parla la legge, infatti, non è da riferirsi alla singola domanda di accesso ma è il risultato complessivo cui “aspira” la riforma sulla trasparenza la quale, ampliando la possibilità di conoscere l’attività amministrativa, favorisce forme diffuse di controllo sul perseguimento dei compiti istituzionali e una maggiore partecipazione dei cittadini ai processi democratici e al dibattito pubblico. In definitiva, l’accesso generalizzato deve essere riguardato come estrinsecazione di una libertà e di un bisogno di cittadinanza attiva, i cui relativi limiti, espressamente previsti dal legislatore, debbono essere considerati di stretta interpretazione.

Ebbene, alla luce dei principi sinteticamente esposti (per una approfondita ed accurata disamina delle problematiche connesse all’accesso civico generalizzato v. TAR Campania, Napoli, sez. VI, 9 maggio 2019, n. 2486), il ricorso deve essere dichiarato in parte improcedibile ed in parte è, invece, fondato e va accolto.

Premesso che, nel caso in esame, non si prospettano problemi in ordine ai limiti all’accesso generalizzato di cui al ricordato art. 5 bis del D.Lgs n. 33/2013, si rileva che a fronte della due richieste di accesso presentate dalla ricorrente, l’Amministrazione Comunale ha depositato, in questa sede, quanto segue: 1) una comunicazione e-mail, inviata alla ricorrente in data 26.4.2019, con cui erano state trasmesse “alcune” (ma non tutte) determinazioni di assegnazioni degli alloggi; 2) tabulati con indicazione del patrimonio immobiliare comunale e delle locazioni attive/passive riferiti agli anni 2017 e 2018.

Dunque, in relazione a tali elementi, che costituivano parte delle richieste di accesso presentate dalla ricorrente, il ricorso va dichiarato improcedibile, atteso che le richieste in esse contenute sono stata (parzialmente) soddisfatte dall’Amministrazione Comunale.

…OMISSIS…

L’Amministrazione Comunale resistente dovrà, pertanto, provvedere a mettere a disposizione della ricorrente la documentazione richiesta e sopra meglio specificata

Il testo integrale della sentenza si trova a questo link

L’ACCESSO CIVICO ALLA VALUTAZIONE DEI DIRIGENTI E DEI RESPONSABILI DEGLI UFFICI – UN PARERE DEL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

garante-privacyL’Autorità Garante per la protezione dei dati personali ha pubblicato il parere 574 del dicembre scorso riguardante l’accesso civico alla documentazione relativa alla valutazione della performance di alcuni dirigenti.

Il parere, molto articolato ha affrontato in maniera approfondita le varie problematiche legati alla richiesta formulata dal  Comune di ****.

Secondo l’Autorità la disciplina di settore in materia di accesso civico contenuta nel d. lgs. n. 33/2013 prevede, fra l’altro, che «Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis» (art. 5, comma 2). L’esercizio di tale diritto «non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente […] e non richiede motivazione» (art. 5, comma 3).

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