Profonde e legittime preoccupazioni attraversano il mondo dei dirigenti della Pubblica amministrazione con particolare riguardo a quelli degli enti locali a causa dell’attesa pubblicazione dei decreti legislativi delegato dalla L. 124/2015.
La legge delega, che ha in ogni caso fissato già dei paletti non lascia mote speranze.
Al riguardo la Corte dei Conti nel suo «Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2015» approvato dalle Sezioni riunite in sede di Controllo ha svolto già alcune sue conderazioni:
«La Corte è stata chiamata ad esprimere le proprie valutazioni presso la Commissione affari costituzionali del Senato sul disegno di legge delega riguardante la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni contenente, tra l’altro, i criteri direttivi per la revisione della normativa sulla dirigenza pubblica.
Ad avviso della Corte il disegno di legge non garantisce il delicato equilibrio raggiunto nei rapporti tra politica e dirigenza in quanto, nel nuovo delineato assetto ordinamentale, aumentano i margini di discrezionalità per il conferimento degli incarichi.
L’abolizione della distinzione in fasce degli uffici da ricoprire, l’ampliamento della platea degli interessati, la breve durata degli incarichi attribuiti, il rischio che il mancato conferimento di una funzione possa provocare la decadenza dal rapporto di lavoro, costituiscono, ad avviso della Corte, un insieme di elementi che potrebbero in concreto limitare l’autonomia dei dirigenti.
Sotto altro aspetto, i criteri direttivi della riforma delineano un modello organizzativo che privilegia, per il conferimento della titolarità di uffici anche di piccole dimensioni, non già le competenze specifiche legate alla conoscenza della complessa normativa dei settori di intervento, quanto piuttosto generiche attitudini e competenze manageriali che, come l’esperienza ha dimostrato, risultano di difficile applicabilità nell’ordinamento amministrativo.
La nuova disciplina proposta assegna, infatti, un peso prevalente alla pluralità delle esperienze e alla diversificazione della carriera, rispetto alla valutazione di una sperimentata professionalità specifica, criterio non preso in considerazione tra quelli previsti per il conferimento della titolarità di un ufficio. Le competenze tecniche rischiano dunque di restare patrimonio esclusivo del personale non dirigente privo di sbocchi di carriera.
Ad avviso della Corte andrebbe, pertanto, meglio delineato il criterio dell’interscambiabilità dei titolari degli uffici e le modalità per la selezione delle professionalità migliori, che rappresentano gli obiettivi della riforma.
Sotto il profilo del trattamento economico i criteri direttivi per la delega legislativa non definiscono con chiarezza il riparto di competenze tra la disciplina normativa e quella di fonte contrattuale, residuando comunque a quest’ultima limitati margini di intervento.
I limiti all’autonomia dei dirigenti e la sostanziale ripubblicizzazione della disciplina, riguardante non solo la parte normativa ma anche quella economica del rapporto di lavoro, prefigurano una controriforma dell’assetto ordinamentale della dirigenza pubblica quale delineato all’interno della normativa concernente la privatizzazione del pubblico impiego.
Si tratta di considerazioni che vengono riproposte in questa sede in quanto tutt’ora attuali, considerato che il testo approvato dal Senato in prima lettura e trasmesso alla Camera dei deputati non si discosta sostanzialmente da quello proposto dal Governo sul quale la Corte era stata chiamata ad esprimere il proprio motivato avviso»
L’abolizione dei Segretari comunali, disposta con il 4° comma dell’art. 11 della citata L. 124/2015 appare già un primo segnale del desiderio di fare un ulteriore salto verso la discrezionalità degli incarichi con il rischio di un maggiore asservimento della dirigenza al potere politico.
Al riguardo in data 6 giugno 2015 avevo rivolto una Petizione alla Presidente Boldrini per chiedere proprio che venisse modificato il testo in discussione per rafforzare la separazione dei ruoli tra indirizzo politico e dirigenza amministrativa.
Quanto avvenuto in alcuni Comuni, a cominciare alla Capitale d’Italia ha dimostrato ampiamento, se ce ne fosse stato ancora bisogno, l’importanza di ciò.
Manca ancora invece u sistema di valutazione che possa essere applicato in maniera reale nei confronti dei dirigenti e che non potrà assolutamente essere identico per tutte le aree (Amministrazioni centrali, enti locali e sanità) proprio per le loro particolari peculiarità.
Come ha affermato di recente Alfredo Ferrante, Presidente dell’Associazione ex-allievi della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (Lavoce.info, 31/12/2015): «…la compressione del principio della stabilità del posto dirigenziale, già posto in grave difficoltà da vent’anni di interventi legislativi, da tempo manifesta nelle evidenze degli scandali emersi la lesione di quel principio di imparzialità amministrativa, che, lungi dall’ essere un pretesto sostenuto dalla dirigenza pubblica per difendere i suoi interessi corporativi, è (sarebbe) una garanzia per tutti».