LA RELAZIONE DEL PROCURATORE GENERALE DELLA CORTE DEI CONTI IN OCCASIONE DELL’INAUGURAZIONE DELL’ANNO GIUDIZIARIO

Il 18 febbraio nell’Aula delle Sezioni Riunite della Corte dei conti di Roma alla presenza del Presidente della Repubblica e delle più alte cariche Istituzionali, si è tenuta la cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario 2016. Dopo la relazione del Presidente della Corte dei conti Raffaele Squitieri, ha preso la parola il Procuratore Generale Martino Colella, il quale tra l’altro ha affermato:

I compiti, affidati al requirente contabile, sia come attore che quale interveniente necessario nei nuovi giudizi ad istanza di parte e nelle parifiche dei rendiconti delle regioni, sembrano auspicare ancor più incisive forme di raccordo fra procure regionali ed uffici della Corte addetti al controllo, nel necessario e rigoroso rispetto della diversità delle funzioni e dei principi che regolano l’oggetto dei rispettivi 7 giudizi. Detta possibilità è stata ribadita dalla stessa Corte Costituzionale, recentemente, con la sentenza n. 235/2015. Proprio le segnalazioni al requirente, provenienti dalle sezioni di controllo della Corte, hanno consentito di perseguire, a titolo di responsabilità amministrativa, numerose fattispecie lesive degli equilibri economico-finanziari degli enti territoriali. Si è trattato, in particolare, di fattispecie dannose per l’erario, conseguenti alla violazione del patto di stabilità interno, al c.d. abuso dello strumento societario da parte delle regioni e degli enti locali, oltre che effetto dell’illegittima rendicontazione dei contributi pubblici da parte dei gruppi consiliari regionali. Riguardo alla prima materia, occorre evidenziare come la cessazione, a decorrere dal 2016, della disciplina del patto di stabilità interno, previsto dalla legge n. 208/2015, impone agli enti locali di realizzare un saldo non negativo in termini di competenza fra entrate e spese finali. Perciò, la violazione di detto principio non potrebbe escludere una responsabilità amministrativa degli amministratori e funzionari competenti, in presenza dei relativi presupposti. D’altra parte, l’art. 1, comma 727, della citata legge, ha previsto una sanzione pecuniaria, comminabile dalle sezioni giurisdizionali della Corte su azione del requirente, a carico degli amministratori e del responsabile amministrativo di detti enti, nel caso di artificioso conseguimento ovvero di elusione degli obiettivi di finanza pubblica, previsti da vari commi di detto articolo (dal comma 707 al comma 734)

Il testo integrale dell’intervento del procuratore generale lo trovate qui:

http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/documenti_procura/procura_generale/relazioni_anni_giudiziari/relazione_scritta_colella_ag2016.pdf

LA DEMOCRAZIA INTERNA DEI PARTITI: UNA CHIMERA?

Secondo Piero Calamandrei l’organizzazione democratica dei partiti è un presupposto indispensabile perché si abbia anche fuori di essi vera democrazia.
A distanza di tanti anni le parole di Calamandrei sono ancora attualissime anche perché fino ad oggi nessuno ha posto mano alla legge che in base all’art. 49 della Costituzione avrebbe dovuto regolamentare i partiti.
Abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni la situazione italiana.
Oramai in Parlamento (ma anche nei Comuni) siedono rappresentanti non solo dei partiti, ma anche di movimenti (nati quasi in contrasto con i primi).
La differenza i apparenza è che i partiti dovrebbero essere più strutturati mentre i movimenti appaiono più liberi e privi di regole.
Alcuni partiti si sono sì dotati di statuti o regolamenti per questo e per quello, ma poi queste norme vengono modificate spesso a seconda delle esigenze contingenti e comunque quasi sempre disapplicate o peggio (cioè applicate solo nei confronti dei nemici).
La conseguenza di tutto ciò è l’allontanamento crescente delle persone dalla politica e dal voto (anche le recenti primarie lo hanno dimostrato).
Il sistema rappresentativo è in crisi e gli eletti vengono espressi da una ristretta cerchia di persone.
Ma fino a quando potrà durare questa situazione?
Occorre al più presto intervenire prendendo esempio da altri Paesi per adeguare le nostre norme ai paesi più evoluti (che in questo campo spesso non sono quelli più sviluppati).
(l’immagine riproduce un quadro di Hogarth riguardante la campagna elettorale)

 

 

 

 

INDIPENDENZA DELLA DIRIGENZA PUBBLICA A RISCHIO

Profonde e legittime preoccupazioni attraversano il mondo dei dirigenti della Pubblica amministrazione con particolare riguardo a quelli degli enti locali a causa dell’attesa pubblicazione dei decreti legislativi delegato dalla L. 124/2015.

La legge delega, che ha in ogni caso fissato già dei paletti non lascia mote speranze.

Al riguardo la Corte dei Conti nel suo «Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica 2015» approvato dalle Sezioni riunite in sede di Controllo ha svolto già alcune sue conderazioni:

«La Corte è stata chiamata ad esprimere le proprie valutazioni presso la Commissione affari costituzionali del Senato sul disegno di legge delega riguardante la riorganizzazione delle pubbliche amministrazioni contenente, tra l’altro, i criteri direttivi per la revisione della normativa sulla dirigenza pubblica.

Ad avviso della Corte il disegno di legge non garantisce il delicato equilibrio raggiunto nei rapporti tra politica e dirigenza in quanto, nel nuovo delineato assetto ordinamentale, aumentano i margini di discrezionalità per il conferimento degli incarichi.

L’abolizione della distinzione in fasce degli uffici da ricoprire, l’ampliamento della platea degli interessati, la breve durata degli incarichi attribuiti, il rischio che il mancato conferimento di una funzione possa provocare la decadenza dal rapporto di lavoro, costituiscono, ad avviso della Corte, un insieme di elementi che potrebbero in concreto limitare l’autonomia dei dirigenti.

Sotto altro aspetto, i criteri direttivi della riforma delineano un modello organizzativo che privilegia, per il conferimento della titolarità di uffici anche di piccole dimensioni, non già le competenze specifiche legate alla conoscenza della complessa normativa dei settori di intervento, quanto piuttosto generiche attitudini e competenze manageriali che, come l’esperienza ha dimostrato, risultano di difficile applicabilità nell’ordinamento amministrativo.

La nuova disciplina proposta assegna, infatti, un peso prevalente alla pluralità delle esperienze e alla diversificazione della carriera, rispetto alla valutazione di una sperimentata professionalità specifica, criterio non preso in considerazione tra quelli previsti per il conferimento della titolarità di un ufficio. Le competenze tecniche rischiano dunque di restare patrimonio esclusivo del personale non dirigente privo di sbocchi di carriera.

Ad avviso della Corte andrebbe, pertanto, meglio delineato il criterio dell’interscambiabilità dei titolari degli uffici e le modalità per la selezione delle professionalità migliori, che rappresentano gli obiettivi della riforma.

Sotto il profilo del trattamento economico i criteri direttivi per la delega legislativa non definiscono con chiarezza il riparto di competenze tra la disciplina normativa e quella di fonte contrattuale, residuando comunque a quest’ultima limitati margini di intervento.

I limiti all’autonomia dei dirigenti e la sostanziale ripubblicizzazione della disciplina, riguardante non solo la parte normativa ma anche quella economica del rapporto di lavoro, prefigurano una controriforma dell’assetto ordinamentale della dirigenza pubblica quale delineato all’interno della normativa concernente la privatizzazione del pubblico impiego.

Si tratta di considerazioni che vengono riproposte in questa sede in quanto tutt’ora attuali, considerato che il testo approvato dal Senato in prima lettura e trasmesso alla Camera dei deputati non si discosta sostanzialmente da quello proposto dal Governo sul quale la Corte era stata chiamata ad esprimere il proprio motivato avviso»

L’abolizione dei Segretari comunali, disposta con il 4° comma dell’art. 11 della citata L. 124/2015 appare già un primo segnale del desiderio di fare un ulteriore salto verso la discrezionalità degli incarichi con il rischio di un maggiore asservimento della dirigenza al potere politico.
Al riguardo in data 6 giugno 2015 avevo rivolto una Petizione alla Presidente Boldrini per chiedere proprio che venisse modificato il testo in discussione per rafforzare la separazione dei ruoli tra indirizzo politico e dirigenza amministrativa.

Quanto avvenuto in alcuni Comuni, a cominciare alla Capitale d’Italia ha dimostrato ampiamento, se ce ne fosse stato ancora bisogno, l’importanza di ciò.

Manca ancora invece u sistema di valutazione che possa essere applicato in maniera reale nei confronti dei dirigenti e che non potrà assolutamente essere identico per tutte le aree (Amministrazioni centrali, enti locali e sanità) proprio per le loro particolari peculiarità.

Come ha affermato di recente Alfredo Ferrante, Presidente dell’Associazione ex-allievi della Scuola Nazionale dell’Amministrazione (Lavoce.info, 31/12/2015): «…la compressione del principio della stabilità del posto dirigenziale, già posto in grave difficoltà da vent’anni di interventi legislativi, da tempo manifesta nelle evidenze degli scandali emersi la lesione di quel principio di imparzialità amministrativa, che, lungi dall’ essere un pretesto sostenuto dalla dirigenza pubblica per difendere i suoi interessi corporativi, è (sarebbe) una garanzia per tutti».