UNA NUOVA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE DICHIARA L’ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 8 DELLA LEGGE DELLA REGIONE LAZIO SUGLI USI CIVICI DEL 1986

nuova-legge-elettorale-italia-consulta-italicum-orig_slideLa Corte Costituzionale con sentenza n. 113/2018 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Lazio n. 1/1986

Il Commissario per la liquidazione degli usi civici per le Regioni Lazio, Umbria e Toscana ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 9, 117, secondo comma, lettere l) e s), e 118 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8 della legge della Regione Lazio 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie), come modificato dall’art. 8 della legge della Regione Lazio 27 gennaio 2005, n. 6, recante «Modifiche alla legge regionale 3 gennaio 1986, n. 1 (Regime urbanistico dei terreni di uso civico e relative norme transitorie) e successive modifiche ed alla legge regionale 6 agosto 1999, n. 14 (Organizzazione delle funzioni a livello regionale e locale per la realizzazione del decentramento amministrativo) e successive modifiche».

Il giudice a quo premette di avere avviato d’ufficio – su sollecitazione di due consiglieri dell’Università agraria di Valmontone – un processo per l’azione di accertamento della qualitas di un terreno con annesso magazzino, sito in Valmontone e promesso in vendita a una società privata dalla medesima associazione agraria.

Quest’ultima si era avvalsa della facoltà, concessa dall’art. 8 della legge reg. Lazio n. 1 del 1986 (così come modificato, da ultimo, dall’art. 8 della legge reg. Lazio n. 6 del 2005) di alienare detti terreni di proprietà collettiva di uso civico.

Nelle more del giudizio, il Comune di Valmontone aveva rilasciato il permesso di costruire in sanatoria, determinando, secondo quanto previsto dalla norma impugnata, la sclassificazione e la conseguente alienabilità dell’area.

Il rimettente, dopo aver precisato che non è necessario «svolgere alcuna attività istruttoria essendo pacifici i fatti di causa e l’originaria presenza degli usi civici tanto che la causa, sull’accordo delle parti, veniva trattenuta in decisione» e che la norma avrebbe determinato l’automatica sclassificazione dei beni civici – ciò comportando che l’accertamento giudiziale dovrebbe limitarsi alla presa d’atto dell’avvenuta trasformazione del bene demaniale in allodiale, con conseguente estinzione ex lege dei «diritti di uso civico gravanti sui terreni oggetto di causa» – ritiene che la norma impugnata contrasti, tra gli altri, con l’art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dettando norme in ambito di competenza esclusiva dello Stato.

In buona sostanza, la sdemanializzazione dei beni collettivi deriverebbe direttamente dalla legge regionale denunciata mentre, sotto il profilo civilistico, la materia degli usi civici sarebbe disciplinata (in regime di specialità rispetto al codice civile) da norme statali, quali la legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del R. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del R. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del R. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del R. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), e il regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno). Alle Regioni sarebbero state trasferite, per effetto del d.P.R. 15 gennaio 1972, n. 11 (Trasferimento alle Regioni a statuto ordinario delle funzioni amministrative statali in materia di agricoltura e foreste, di caccia e di pesca nelle acque interne e dei relativi personali ed uffici), e del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della legge 22 luglio 1975, n. 382), le sole funzioni amministrative, sicché la Regione Lazio non avrebbe mai potuto invadere la competenza legislativa dello Stato ex art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. e – per di più, come nella fattispecie in esame – compiere tale invasione in contrasto con la legislazione statale già esistente.

Inoltre, le ipotesi di alienazione e legittimazione non potrebbero mai essere adottate interrompendo «la continuità del patrimonio collettivo altrimenti ne verrebbe compromessa la fruibilità nel suo complesso. Nel caso di specie tale esigenza non è in alcun modo tutelata».

La Regione avrebbe poi operato detta sclassificazione in contrasto anche con il principio di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., in quanto consentirebbe «all’autore di un illecito (nella maggioranza dei casi di rilievo penale) di divenire proprietario del bene che ha manomesso con pari danno per la collettività».

La sentenza appare giustissima solo che arriva dopo molti anni e quando in gran parte della Regione Lazio sono stati fatti danni rilevanti…

CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA 113/2018

Autore: francobrugnola

Scrittore, mi occupo prevalentemente degli enti locali e di sanità, settori nei quali ho lavorato molti anni come dirigente.

2 pensieri riguardo “UNA NUOVA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE DICHIARA L’ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE DELL’ART. 8 DELLA LEGGE DELLA REGIONE LAZIO SUGLI USI CIVICI DEL 1986”

  1. GENT.Brugnola, dopo la modifica dell’art. 8 legge regionale 3/1/86, a seguito della sentenza della C.C.le. la R.Lazio rifiuta la competenza ad affrancare i terreni di Uso Civico, che sarebbe del Comune di Roma, il quale invece sostiene essere della Regione. Il Comune chiede dopo 25 anni il canone di affitto, che debbono fare i cittadini?
    scusi la lunghezza

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    1. Gentilissima sig.ra Rita, premetto che non sono avvocato e che da quanto mi ricordi gli usi civici rappresentano fattispecie spesso molto intricate e che a suo tempi neanche un magistrato, nominato Commissario per questo scopo riuscì a dipanare la matassa. La Sentenza della Corte ha ribadito la competenza amministrativa della regione, ma purtroppo sui questo tema da anni ci sono problemi tra regione e Comune di Roma creando molti problemi alle persone che hanno difficoltà a vendere dei beni che in questo modo vengono deprezzati. Mi risulta che alcuni consiglieri regionali abbiano presentato una proposta di legge (n.221 del 24 giugno 2020 che può trovare sul sito del consiglio regionale), allo scopo risolvere il problema creato dalla Sentenza della Corte Costituzionale, sempre per affidare incarichi a dei periti per definire con certezza lo stato di ogni bene. Il Comune di Roma non ritengo che possa chiedere dopo 25 anni il canone in quanto ritengo che sia prescritto. Cordiali saluti.

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