LA SEZIONE DELLE AUTONOMIE DELLA CORTE DEI CONTI TORNA AD OCCUPARSI DEGLI INCENTIVI PER I TECNICI COMUNALI

L’ Art. 113 del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici): possibilità di riconoscere incentivi anche per le funzioni tecniche svolte dai dipendenti pubblici in relazione ai lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria.

La Sezione delle autonomie della Corte dei conti, pronunciandosi sulla questione di massima posta dalla Sezione regionale di controllo per l’Umbria con la deliberazione n. 103/2018/PAR, enuncia il seguente principio di diritto: “Gli incentivi per funzioni tecniche previsti dall’art. 113 del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici) possono essere riconosciuti, nei limiti previsti dalla norma, anche in relazione agli appalti di manutenzione straordinaria e ordinaria di particolare complessità.”

Il testo integrale della sentenza lo trovate qui:

https://servizi.corteconti.it/banchedati/controllo/#!/dettaglio/delibera/MjA5LTEwLzAxLzIwMTktU0VaQVVU

L’ANAC HA POSTO IN CONSULTAZIONE IL PROPRIO REGOLAMENTO PER RENDERE TRASPARENTI I RAPPORTI TRA I DECISORI E I PORTATORI DI INTERESSI PARTICOLARI

L’Autorità ha posto in consultazione il Regolamento per la disciplina dei rapporti con i portatori di interessi che prevede, tra l’altro, la pubblicazione settimanale di un’agenda degli incontri del Presidente, dei Consiglieri e dei Dirigenti dell’Autorità con i portatori di interessi. Conclusa la consultazione pubblica, l’Autorità procederà anche ad adeguare il Codice di condotta del Presidente e dei componenti del Consiglio e il Codice di comportamento dei dipendenti con i doveri introdotti dalla nuova disciplina. 

L’ANAC si dota quindi di uno strumento per assicurare la massima trasparenza agli incontri dei suoi decisori. 

Mentre il Parlamento (la ex Presidente della Camera Boldrini ha approvato un regolamento per i lobbisti) e le amministrazioni centrali sono sempre più attente a disciplinare e rendere trasparenti i rapporti tra chi prende le decisioni e i soggetti portatori di interessi (abbiano molti esempi in tutti i Ministeri con il registro della trasparenza), a livello locale queste iniziative sono assenti, mentre i cittadini si aspetterebbero che il processo decisionale del loro Comune fosse il più aperto e trasparente possibile al fine di garantire una rappresentanza equilibrata ed evitare pressioni indebite o un accesso privilegiato alle informazioni o ai responsabili delle decisioni.

Quindi ben vanga l’esempio dell’ANAC che però auspico che venga imitato ad esempio dai Comuni e dalle grandi aziende sanitarie ed ospedaliere che trattano contratti di notevole entità.

I cittadini attendono con ansia che gli enti di prossimità divengano finalmente delle case di vetro.

Qui trovate il link per il regolamento dell’ANAC

http://www.anticorruzione.it/portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/anacdocs/Attivita/ConsultazioniOnline/20181221/Regolamento%20portatori%20di%20interessi.pdf

LE MODIFICHE AL CODICE DEGLI APPALTI INSERITE NEL DISEGNO DI LEGGE 989 PER LA CONVERSIONE IN LEGGE DEL DL SEMPLIFICAZIONE

Inizia domani al Senato l’esame del disegno di legge 989 recante la conversione in legge del c.d. decreto legge semplificazione.

In particolare sono previste modifiche dall’Articolo 5 modifiche al Codice contratti pubblici. I commi da 2-bis a 2-quinquies – proposti nel corso dell’esame in sede referente con l’approvazione dell’emendamento 5.27 (testo 2) – intervengono in tema di semplificazione e accelerazione delle
procedure negli appalti pubblici sotto soglia comunitaria.
Il nuovo comma 2-bis modifica l’art. 31, co. 8, del D. Lgs. n. 50 del 2016, recante il Codice dei contratti pubblici, concernente la disciplina il ruolo e le funzioni del responsabile del procedimento negli appalti e nelle concessioni. Il vigente comma 8 prevede che gli incarichi di progettazione, coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, direzione dei lavori, direzione dell’esecuzione coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, di collaudo, nonché gli incarichi che la stazione appaltante ritenga indispensabili a supporto dell’attività del responsabile unico del
procedimento, vengano conferiti secondo le procedure del Codice in esame e che, in caso di importo inferiore alla soglia di 40.000 euro, possano essere affidati in via diretta (ai sensi dell’art. 36, co. 2, lett. a)). Si prevede, inoltre, che l’affidatario non possa avvalersi del subappalto, eccetto che per indagini geologiche, geotecniche e sismiche, sondaggi, rilievi, misurazioni e picchettazioni, predisposizione di elaborati specialistici e di dettaglio, con esclusione delle relazioni geologiche, nonché per la sola redazione grafica degli elaborati progettuali, restando, comunque, ferma la responsabilità esclusiva del progettista.
Nell’ambito della previsione riguardante l’affidamento diretto, il nuovo comma 2-bis aggiunge che, per la determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara, in caso di procedura aperta o ristretta, ovvero da porre a base di affidamento diretto o di procedura negoziata, i compensi professionali dovuti al coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione siano equiparati ai costi contrattuali della sicurezza (agli effetti dell’art. 23, co. 16), che tali compensi siano scorporati dal costo dell’importo assoggettato al ribasso e che siano determinati in applicazione delle tariffe adottate con D.M. 17 giugno 2016 (Approvazione delle tabelle dei corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione) adottato ai sensi dell’art. 24, co. 8, del Codice dei contratti pubblici, da ritenersi insuscettibili di liquidazione al di sotto dei relativi parametri minimi, liquidazione che non può condurre alla determinazione di un importo superiore a quello derivante dall’applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell’entrata in vigore del D. L. n. 1 del 2012 (L. n. 27 del 2012). [da quel che vedo l’art. 9 del DL 1/2012, reca Disposizioni sulle professioni regolamentate e risulta in vigore dal 29 agosto 2017].
Conseguentemente, il nuovo 2-ter modifica l’articolo 9, comma 2, del sopra citato D. L. n. 1 del 2012 (L. n. 27 del 2012), il quale con vigenza dal 29 agosto 2017, al comma 1 abroga le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.
Il comma in esame sopprime la parte del comma 2 in cui si prevede che, ai fini della determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara nelle procedure di affidamento di contratti pubblici dei servizi relativi all’architettura e all’ingegneria, si applichino i parametri individuati con decreto, da emanarsi, per gli aspetti relativi alle disposizioni di cui al presente periodo, di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il quale sono altresì definite le classificazioni delle prestazioni professionali relative ai predetti servizi. Si sopprime, altresì, la l’ultimo periodo del comma 2 riguardante le caratteristiche dei parametri individuati.
Il nuovo comma 2-quater aggiunge il comma 4-bis all’articolo 90 del D. Lgs. n. 81 del 2008 , in materia di Obblighi del committente o del responsabile dei lavori. In particolare, l’introducendo comma 4-bis stabilisce che, in sede di determinazione dei corrispettivi per le attività di cui ai commi 3 e 4 (cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, anche non
contemporanea) i compensi professionali al coordinatore per l’esecuzione dei lavori siano equiparati ai costi delle misure adottate per eliminare o, ove ciò non sia possibile, ridurre al minimo i rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro derivate dalle interferenze delle lavorazioni; che tali compensi non siano soggetti a ribasso e, salvo diverso accordo tra le parti, siano determinati in applicazione delle tariffe di cui al decreto adottato per gli iscritti all’albo dei consulenti del lavoro, da ritenersi insuscettibili di liquidazione al di sotto dei relativi parametri minimi, liquidazione che non può condurre alla determinazione di un importo superiore a quello derivante dall’applicazione delle tariffe professionali vigenti prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 1 del 2012.
Il nuovo comma 2-quinquies stabilisce che i corrispettivi di cui al D.M. 17 giugno 2016 (Approvazione delle tabelle dei corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione) adottato ai sensi dell’art. 24, co. 8, del Codice dei contratti pubblici, non possano
essere utilizzati dalle stazioni appaltanti quale criterio o base di riferimento ai fini dell’individuazione dell’importo per l’affidamento delle attività di progettazione, coordinamento della sicurezza in fase di
progettazione, direzione dei lavori, direzione dell’esecuzione coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione, di collaudo, nonché gli incarichi che la stazione appaltante ritenga indispensabili a supporto dell’attività del responsabile unico del procedimento.

IL CONSIGLIO DI STATO SI PRONUNCIA SUGLI AFFIDAMENTI SOTTO SOGLIA

La sezione V del consiglio di Stato con sentenza n. 435/2019 è intervenuta sulla questione della rotazione delle imprese negli affidamento sotto il valore della soglia europea. In particolare il Collegio ha ritenuto quanto segue:

L’art. 36 del d.lgs. 18 aprile 2018 n. 50, “Contratti sotto soglia”, stabilisce al comma 1 che “L’affidamento e l’esecuzione di lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di cui all’articolo 35 avvengono nel rispetto dei principi di cui agli articoli 30, comma 1, 34 e 42, nonché del rispetto del principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti e in modo da assicurare l’effettiva possibilità di partecipazione delle microimprese, piccole e medie imprese”.

Negli affidamenti “sotto soglia” il principio, per espressa disposizione di legge, opera quindi già in occasione degli inviti.

In tema, questo Consiglio di Stato ha affermato che “Il principio di rotazione – che per espressa previsione normativa deve orientare le stazioni appaltanti nella fase di consultazione degli operatori economici da consultare e da invitare a presentare le offerte – trova fondamento nella esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente (la cui posizione di vantaggio deriva soprattutto dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento), soprattutto nei mercati in cui il numero di agenti economici attivi non è elevato. Pertanto, al fine di ostacolare le pratiche di affidamenti senza gara ripetuti nel tempo che ostacolino l’ingresso delle piccole e medie imprese, e di favorire la distribuzione temporale delle opportunità di aggiudicazione tra tutti gli operatori potenzialmente idonei, il principio di rotazione comporta in linea generale che l’invito all’affidatario uscente riveste carattere eccezionale e deve essere adeguatamente motivato, avuto riguardo al numero ridotto di operatori presenti sul mercato, al grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale ovvero all’oggetto e alle caratteristiche del mercato di riferimento”, con la conseguenza che “La regola della rotazione degli inviti e degli affidamenti – il cui fondamento, come si è visto, è quello di evitare la cristallizzazione di relazioni esclusive tra la stazione appaltante ed il precedente gestore – amplia le possibilità concrete di aggiudicazione in capo agli altri concorrenti, anche (e a maggior ragione) quelli già invitati alla gara, i quali sono lesi in via immediata e diretta dalla sua violazione” (Cons. Stato, VI, 31 agosto 2017, n. 4125).

Laddove si lamenti la mancata applicazione del principio di rotazione, il concorrente può indi ricorrere già avverso il provvedimento di ammissione del gestore uscente, che concreta a suo danno, in via immediata e diretta, la paralisi di quell’ampliamento delle possibilità concrete di aggiudicazione che il principio di rotazione mira ad assicurare.

Diversamente opinando, ovvero se non vi fosse la possibilità di ricorrere avverso il provvedimento di ammissione del gestore uscente, la specificazione operata dall’art. 36 comma 1 del Codice dei contratti pubblici che il principio di rotazione opera già nella fase degli inviti sarebbe priva di ratio.

In tal senso, pertanto, non può essere posto in dubbio il collegamento con l’impugnazione immediata delle ammissioni disciplinata dall’art. 120 comma 2-bis del Codice del processo amministrativo, rinvenuto dalla sentenza appellata.

Questa Sezione ha già messo in luce tale collegamento, rammentando che, per la giurisprudenza amministrativa, il principio di rotazione determina l’obbligo per le stazioni appaltanti, al fine di evitare il consolidamento di rendite di posizione in capo al gestore uscente, di non invitarlo nelle gare di lavori, servizi e forniture degli appalti “sotto soglia”, ovvero, in alternativa, di invitarlo previa puntuale motivazione in ordine alle relative ragioni (Cons. Stato, V, 13 dicembre 2017, n. 5854; VI, n. 4125 del 2017, cit.), e riconoscendo, per l’effetto, la ritualità dell’immediata impugnazione dell’ammissione del concorrente per violazione del principio di rotazione, verificandosi “la condizione prevista dall’art.120, comma 2-bis, c.p.a., il quale individua nella data di pubblicazione dell’atto di ammissione, ex art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50-2016, il dies a quo di proposizione del ricorso, o comunque nel giorno in cui l’atto stesso è reso in concreto disponibile, secondo la nuova formulazione dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50-2016, introdotta dall’art.19 d.lgs. n. 56-2017” (Cons. Stato, V, sentenza breve 3 aprile 2018 n. 2079).

3. Con altro motivo l’appellante sostiene che la sentenza appellata non avrebbe fatto buon governo dei principi comunitari e costituzionali di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, libera iniziativa economica, né della previsione di cui all’art. 5 della l. 8 novembre 1991 n. 381, ai sensi del quale è stata espletata la procedura per cui è causa, che, tenuto conto della particolare finalità di carattere sociale dell’affidamento, consente la deroga alle regole ordinarie dettate dal Codice dei contratti per gli appalti c.d. “sotto soglia” e non menziona il principio di rotazione. A sostegno dell’assunto, l’appellante evidenzia che il principio di rotazione non è incluso tra quelli generali richiamati dall’art. 30 del d.lgs. 50/2016 né contemplato dal diritto comunitario, con la conseguenza che esso non potrebbe essere applicato laddove non espressamente richiamato. Infine, afferma che la procedura negoziata in parola, improntata al pieno rispetto dei principi di cui al predetto art. 5, nell’invitare alla procedura tutti gli operatori che hanno chiesto di parteciparvi, tra cui il gestore uscente, si sarebbe attenuta a principi di non discriminazione e di garanzia di uguaglianza di informazioni e di opportunità di aggiudicazione.

3.1. Le predette argomentazioni, tutte volte a concludere che nell’affidamento in esame, ai sensi dell’art. 5 della l. n. 381 del 1991, non trova applicazione il principio di rotazione, non possono essere condivise.

Per quanto qui di interesse, la l. 381 del 1981, recante “Disciplina delle cooperative sociali”, all’art. 5 stabilisce che “Gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all’articolo 1, comma 1, lettera b), ovvero con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità europea, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell’IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all’articolo 4, comma 1. Le convenzioni di cui al presente comma sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei princìpi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”.

Dunque la norma facoltizza, e non impone, per la stipula delle convenzioni in parola, la deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione,

Sulla base di questo presupposto, fatto palese dalla lettera della legge, la sentenza appellata ha concluso per l’applicabilità alla procedura in esame del principio di rotazione in forza di due elementi.

Il primo, di carattere dirimente, è fondato sull’accertamento della circostanza che l’Amministrazione, nel regolare la procedura di affidamento in esame, non si è avvalsa, come pure avrebbe potuto fare, della possibilità di deroga prevista dal citato art. 5, come testimoniato dall’espresso richiamo da parte della lex specialis dell’art. 36 comma 2 del d.lgs. n. 50 del 2016, prevedente, appunto, l’applicazione del principio di rotazione.

Il secondo, che assume nell’andamento argomentativo della sentenza un carattere incidentale, è la non rinvenibilità nell’art. 5 della l. n. 381 del 1991 della facoltà di deroga al principio di rotazione, perché costituente uno dei precipitati del principio di non discriminazione richiamato all’ultimo periodo del comma 1.

Il primo elemento è oggetto del successivo motivo di appello, il quale, per le ragioni di seguito espresse, non merita accoglimento.

Il secondo elemento costituisce invece oggetto di critica nel motivo in esame.

Ne deriva che, poiché quest’ultimo assume, come detto, carattere incidentale, anche l’eventuale accoglimento del motivo in parola non sarebbe idoneo a determinare la riforma della sentenza appellata. In altre parole, anche laddove dovesse convenirsi con la conclusione, cui tende l’intero motivo, che il principio di rotazione non potrebbe essere applicato se non espressamente richiamato dalle disposizioni cui la procedura di affidamento si riferisce, dovrebbe pur sempre riconoscersi che di un siffatto approdo non può giovarsi il Comune appellante, che ha improntato la procedura per cui è causa alla previsione di cui all’art. 36 comma 2 del Codice dei contratti, che richiama il principio di rotazione.

Basti pertanto rilevare, per respingere il motivo, che l’affermazione della sentenza appellata secondo cui il principio di rotazione costituisce uno dei precipitati del principio di non discriminazione richiamato all’ultimo periodo del citato comma 1 della l. n. 281 del 1991 trova eco nella giurisprudenza di questo Consiglio di Stato.

E’ stato infatti affermato che “anche nell’art. 30, 1 comma, del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, il principio della rotazione deve ritenersi implicitamente richiamato, attraverso il riferimento più generale al principio di libera concorrenza di cui il criterio in esame costituisce espressione” (Cons. Stato, VI, n. 4125 del 2017, cit.; nello stesso senso, V, n. 2079/2018, cit.), principio nell’ambito del quale si pone decisivamente il canone della non discriminazione richiamato dal ridetto art. 5 della l. 381/1991.

4. Con altro motivo il Comune di Viadana sostiene l’erroneità della sentenza appellata in quanto la gara sarebbe stata svolta ai sensi dell’art. 5 della l. 381/91, in deroga alla disciplina generale in tema di contratti pubblici, mentre l’art. 36 comma 1 del d.lgs. 50/2016, che sancisce il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti, non sarebbe mai stato richiamato nei relativi atti e vieppiù introdotto successivamente alla pubblicazione dell’avviso di manifestazione di interesse. Sostiene ancora l’appellante la valenza non decisiva del richiamo da parte dell’atto di indizione della gara dell’art. 36 comma 2 lett. b), in quanto volto esclusivamente all’indicazione della tipologia della procedura prescelta (negoziata e non ordinaria) e pertanto non implicante l’applicazione del criterio di rotazione.

Il motivo deve essere respinto, in forza degli elementi di seguito esposti.

La gara è stata indetta con determinazione dirigenziale n. 680 del 6 novembre 2017.

Tale determinazione ha richiamato, tra altro, sia nel preambolo che nella conseguente determina l’art. 5 della l. 381 del 1991 e l’art. 36 comma 2 del Codice dei contratti pubblici.

Tale secondo richiamo non è stato corredato dall’indicazione di una delle lettere di cui si compone il comma 2. L’indicazione della lett. b) del comma 2 si rinviene invece all’interno dell’avviso di procedura negoziata.

Nell’atto di indizione della gara e nell’allegata lettera invito – disciplinare non vi è alcuna rappresentazione dell’intendimento dell’Amministrazione di derogare alle norme del Codice dei contratti pubblici ai sensi dell’art. 5 della l. n. 381 del 1991. E’ detto esclusivamente, con intento chiaramente descrittivo della disposizione, che l’art. 5 della l. 381 del 1991 consente la deroga al Codice.

Nel descritto contesto, deve escludersi che il mero richiamo al predetto art. 5 possa avere la valenza derogatoria invocata dal Comune di Viadana, ciò che avrebbe necessitato la chiara esplicitazione della relativa determinazione e delle sottostanti motivazioni.

Ne consegue che lo stesso richiamo ha unicamente l’effetto di precisare la peculiare tipologia di selezione cui è preordinata la procedura, con esclusione della possibilità che tale precisazione possa influire sull’individuazione del meccanismo selettivo, che è stato inequivocamente ricondotto al comma 2 dell’art. 36 del Codice dei contratti pubblici.

Inoltre, il soddisfacimento della necessità di indicare il carattere negoziato della procedura risulta compiutamente realizzato dal riferimento, pure recato dal bando, alla “procedura telematica negoziata ai sensi dell’art. 3, co.1, lett. uuu) … del d.lgs. 50/2016”.

Alla luce di tutto quanto sopra, ben ha fatto la sentenza appellata a escludere che l’Amministrazione abbia manifestato l’intendimento di voler derogare alle previsioni di cui all’art. 36 del Codice e a incentrare la decisione del ricorso sulla disposizione del comma 2 dell’art. 36, restando indifferente che nella motivazione del punto sia stata riportata per esteso la relativa lettera c) anziché la lettera b), atteso che ambedue le previsioni richiamano il principio di rotazione: va ribadito, pertanto, in uno alla sentenza gravata, che il Comune si è autovincolato all’applicazione nella gara in esame del principio in parola, richiamato per il tramite di una delle disposizioni del Codice dei contratti pubblici che espressamente lo contempla.

Né l’insorgenza di tale autovincolo richiedeva, come sembra ritenere l’Amministrazione appellante, il richiamo specifico del comma 1 dell’art. 36, che sancisce in via generale che gli affidamenti “sotto soglia” sono retti anche dal principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti, atteso che, come visto, lo stesso principio di rotazione è richiamato anche nel comma 2 indicato dal bando.

Inoltre, per la giurisprudenza, per le gare di lavori, servizi e forniture negli appalti “sotto soglia” è indubbia l’obbligatorietà del principio di rotazione (Cons. Stato, VI, n. 4125 del 2017, cit.; V, n. 5854 del 2017, cit.).

La chiara impostazione impressa, nei sensi appena esposti, alla disciplina della procedura, quale diretta conseguenza dell’applicazione della ivi richiamata normativa legale di riferimento, rende poi irrilevante ogni questione, pure introdotta dall’appellante, in ordine all’individuazione di quale sia la precipua funzione del criterio di rotazione e del suo ambito applicativo come delineato dall’ ANAC.

5. Va respinto anche l’ultimo motivo di appello.

La precipua tutela connessa al principio di rotazione negli affidamenti “sotto soglia” è quella, anticipata, mirante all’obiettivo di evitare che la gara possa essere falsata, a danno degli altri partecipanti, dalla partecipazione di un soggetto che vanta conoscenze acquisite durante il pregresso affidamento. Ne deriva che, contrariamente a quanto ritenuto nel motivo, l’esclusione del gestore uscente, ove l’Amministrazione, come nel caso di specie, non abbia motivato in ordine alla ricorrenza di specifiche ragioni a sostegno della determinazione di invitarlo comunque a partecipare alla gara, non richiede alcuna prova della posizione di vantaggio da questi goduta, che è presupposta direttamente dalla legge.

Né vale opporre, come fa il Comune, l’ampiezza della platea dei candidati cui è stato trasmesso l’invito a seguito della manifestazione di interesse espressa in esito all’avviso pubblicato dall’Amministrazione, o il documento con cui il RUP ha espressamente richiesto alla Centrale di committenza di ammettere tutti i candidati, ivi compreso il gestore uscente, che avessero chiesto di partecipare alla gara, e, più in generale, la circostanza che l’Amministrazione non si sia avvalsa della potestà di operare limitazioni al numero di operatori tra cui effettuare la selezione.

Difatti, anche in disparte l’evidente rilievo che la motivazione richiesta per derogare al principio di rotazione si incentra non su tutti i concorrenti, ma solo sul gestore uscente, e gli elementi di cui sopra non attengono a tale ambito, la sola considerazione dell’ampiezza della platea dei concorrenti non comporta la mancata applicazione del principio di rotazione, essendo, piuttosto e di contro, il numero eventualmente ridotto di operatori presenti sul mercato a rilevare in tema di deroga al principio (Cons. Stato, V, 13 dicembre 2017, n. 5854).

Deve ancora aggiungersi che la posizione del gestore uscente non può essere equiparata, quanto all’applicazione del principio di rotazione a esso specificamente rivolto, a quella di una impresa, quale l’appellata, che abbia, nel tempo, svolto lo stesso servizio, come evocato dal Comune.

6. Per tutto quanto precede l’appello in esame va respinto.

https://www.giustizia-amministrativa.it/cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=TBINS7WJNUHYFMFH4MCI56B5Y4&q=

LA NOTA DELL’UFFICIO STUDI DELL’UPI ALLA LEGGE DI BILANCIO 2019-2021 DELLO STATO

L’Ufficio studi dell’Unione Province Italiane ha elaborato una analisi della legge di bilancio dello Stato per l’anno 2019; qui appresso ci sono i punti principali evidenziati:

Il comma 889 che attribuisce alle Province delle Regioni a Statuto Ordinario un contributo di 250 milioni euro annui per gli anni dal 2019 al 2033 da destinare al finanziamento dei piani di sicurezza a valenza pluriennale per la manutenzione di strade e scuole. La norma stabilisce anche il criterio di riparto, che avverrà con decreto del Ministero dell’Interno di concerto con i Ministri dell’economia e delle infrastrutture, previa intesa in Conferenza Unificata.

2. Il comma 891 che istituisce presso il Ministero dei Trasporti un fondo di 50 milioni per ciascuno degli anni dal 2019 al 2023 per la messa in sicurezza dei ponti esistenti e la realizzazione di nuovi ponti nel bacino del Po.

3. Il comma 166 che assegna alle Province 120 unità delle 300 unità di personale tecnico specializzato che saranno assunte per la Struttura per la progettazione dei beni ed edifici pubblici (istituita al comma 162), per lo svolgimento delle attività per le Stazioni Uniche Appaltanti delle Province.

4. Il comma 561 che porta da 75 milioni a 100 milioni il fondo per gli alunni con disabilità per il triennio 2019 – 2021

5. Il comma 270 che disciplina per legge l’utilizzo del personale dei Centri per l’Impiego da parte di Province o Città metropolitanequalora la Regione, con legge regionale, abbia già delegato o deleghi successivamente tale funzione.

6. Il comma 896 che fissa in maniera permanente le modalità di riparto del Fondo sperimentale di riequilibrio delle Province.

7. Il comma 819 che interviene sulla disciplina del saldo di bilancio pubblico rispetto all’utilizzo degli avanzi di amministrazione, in attuazione delle sentenze della Corte Costituzionale.

8. Il comma 872 che introduce l’inasprimento dei controlli in merito al rispetto dei tempi di pagamento della PA

9. Il comma 906 che porta da 3/12 a 4/12 il limite massimo di ricorso alle anticipazioni di tesoreria.

Qui c’è il link al sito dell’UPI:

https://www.provinceditalia.it/wp-content/uploads/2019/01/NOTA-DI-LETTURA-LEGGE-DI-BILANCIO-2019-21.pdf

IL BLOCCO DEI PROGRAMMI DI SPESA DA PARTE DELLA CORTE DEI CONTI

Con una lunga e articolata deliberazione (n. 107/2018) la Sezione di Controllo della Corte dei conti per la regione Campania in virtù delle novelle inserite nel Testo Unico degli enti locali con il D.L. 174/2012 (artt. 148bis, 243bis e 243quater) ha bloccato, ad eccezione di quelle vincolate, le spese del Comune di Napoli, ritenendo che le misure correttive al bilancio comunicate siano inidonee a cautelare gli equilibri di bilancio. Ciò in particolare:

i) per la sottostima dello squilibrio oggetto delle misure correttive. Ciò per effetto dell’errata ri-quantificazione del disavanzo nel riaccertamento straordinario con effetti sia sulla corretta quantizzazione del risultato di amministrazione sul rendiconto 2017 che sulla la manovra 2018-2020. Ci si riferisce in particolare: a) all’errato riassorbimento del FAL entro il FCDE, per un importo pari a circa € 1,1 mld (cfr. §§ 7.1, 7.2); b) alla conseguente errata quantificazione dell’extra-deficit da ripianare negli esercizi successivi (cfr. § 7.3), anche per effetto di un’errata applicazione dell’art. 1 del d.m. 2 aprile 2015, c) nonché per il mancato computo, nella manovra 2018-2020, dell’extra-deficit non ripianato, ai sensi dell’art. 4 del d.m. 2 aprile 2015 (cfr. § 8);

ii) per l’inidoneità del piano straordinario di alienazioni a fornire copertura allo squilibrio “prossimo” (nel 2019), determinato dai minori trasferimenti erariali conseguenti all’elusione del saldo di finanza pubblica 2016 (cfr. § 9.2. e sotto-paragrafi).

Ne consegue che il “grado” e la dimensione del disavanzo non ancora correttamente rilevato nelle scritture contabili dell’Ente e già accertato con la pronuncia n. 240/2017/PRSP, così come la mancata predisposizione di adeguate misure per far fronte allo squilibrio sull’esercizio 2019, rendono privi di copertura tutti i programmi di spesa discrezionali, autorizzati nel presupposto del minore disavanzo da ultimo accertato con il rendiconto 2017.

In buona sostanza, per il Comune di Napoli non appare, ad oggi, risolta la situazione di periculum incombente sugli equilibri di bilancio:

  • sia perché non è stata ancora introitata la discrasia tra il risultato di amministrazione e gli squilibri accertati dalla Sezione e quelli certificati nei documenti di bilancio (rendiconto e bilancio di previsione). La veridicità del bilancio e della rendicontazione è la preliminare misura correttiva di qualsiasi effettiva azione di risanamento e di ripristino degli equilibri;
  • sia perché sono state predisposte misure di ripiano (piani di alienazione straordinari di beni in patrimonio) inadeguate a rendere “finanziariamente sostenibile” ed effettivamente “coperti” squilibri prossimi e attuali. Ciò in quanto si tratta di piani di alienazione che, in parte, non sono stati supportati da stima e valutazioni complete e che comunque hanno allo stato dimostrato incapacità di generare un effettivo e bastevole cash flow. Si tratta del resto di previsioni di accertamenti di entrate straordinarie che, per tali criticità, non risultano adeguatamente compensati da sufficienti accantonamenti prudenziali.

Ne consegue, in particolare, che è preclusa l’attuazione dei programmi di spesa a carattere discrezionale e non necessitata e comunque, pro quota parte, l’attuazione di quelli che, al loro interno, consentono spesa non obbligatoria.

Si rammenta in proposito che non può essere bloccata, nei limiti delle risorse effettivamente disponibili:

  • la spesa vincolata (§ 4);
  • la spesa oggetto dei ragguagli istruttori richiesti con la deliberazione n. 81/2018/PRSP, in particolare i programmi della missione 12 che mirano a garantire l’uguaglianza dei livelli essenziali delle prestazioni sociali ai sensi e per gli effetti dell’art. 117, comma 2 lett. m Cost., nei limiti di quanto finanziato con risorse derivate e all’uopo destinate da leggi dello Stato (artt. 4, 18 e 22, comma 2, L. n. 328/00; art. 26 L. n. 289/2002; art. 1 commi 1260 e 1250 della L. n. 296/06). Si tratta infatti di spesa obbligatoria, alla stregua di altri eventuali programmi di spesa costituzionalmente necessaria (cfr. in particolare §§ 3.2 e 4) che segueno lo stesso trattamento ai fini dell’art. 148-bis comma 3 TUEL.

Appare utile ribadire che il carattere obbligatorio di nuova spesa deve essere comunque dimostrato, anche laddove questo derivi dalla sua imprescindibile connessione con prestazioni di carattere necessario o obbligatorio.

L’ANAC IN DIFESA DEI LAVORATORI AFFERMA CHE IL MANCATO RISPETTO DELLA C.D. CLAUSOLA SOCIALE COSTITUISCA UN VIZIO DELLA PROCEDURA DI AGGIUDICAZIONE

Il Consiglio dell’ANAC con delibera n. 1123 del 28 novembre 2018 ha preso in esame la gara per l’affidamento del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani e servizi accessori nel territorio del Comune di San Giovanni in Fiore indetta con bando pubblicato in G.U.R.I. e su G.U.E. (n. 4961) in data 13.1.2016 con importo a base d’asta di euro 5.089.938,800.

Al riguardo l’ANAC ritiene che la c.d. clausola sociale obblighi l’appaltatore subentrante ad impiegare nell’esecuzione del servizio la forza lavoro in precedenza utilizzata dalla ditta uscente. Difatti la stessa qualificazione in termini di “clausola” richiede, in capo alle parti contraenti, ed alla stazione appaltante in primis, la necessità di un formale e specifico recepimento nella lex specialis e nel contratto di appalto/concessione.

Lo stesso d.lgs n. 50/2016, come novellato dal d.ls n. 56/2017 (cd d. correttivo) prevede espressamente, all’art.50, che le stazioni appaltanti inseriscano, nei bandi e nelle lettere di invito, “nel rispetto dei principi dell’Ue, specifiche clausole sociali volte a promuovere la stabilità occupazionale del personale impiegato, prevedendo l’applicazione, da parte dell’aggiudicatario, dei contratti collettivi di settore di cui all’art. 51 del d.lgs, n. 81/2015”.

Secondo l’interpretazione dell’Anac, la ratio della clausola sociale, come delineata dalla predetta disposizione, è dunque in primo luogo quella di tutelare la stabilità occupazionale del personale utilizzato dall’impresa uscente nell’esecuzione del contratto. Sebbene il predetto art. 50 riferisca letteralmente l’aspetto “sociale” della clausola soltanto alle dinamiche tese al mantenimento del posto di lavoro, l’art. 3, c. 1 lett. qqq) del Cod. dei contratti pubblici accoglie invece una nozione più ampia, definendo le clausole sociali come “disposizioni che impongono a un datore di lavoro il rispetto di determinati standard di protezione sociale e del lavoro come condizione per svolgere attività economiche in appalto o in concessione…”. La definizione recata dal predetto art. 3 si presta dunque a consentire alle stazioni appaltanti aperture verso previsioni tese a valorizzare aspetti ulteriori rispetto alla mera tutela occupazionale dei lavoratori dell’impresa uscente.

Pertanto il mancato assorbimento del personale da parte dell’impresa
aggiudicataria può manifestare la sostanziale volontà di non
accettazione della clausola sociale, con l’effetto di viziare l’aggiudicazione e di legittimare i concorrenti ad impugnare la procedura.

L’AUTORITA’ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO BACCHETTA GOVERNO ED ENTI LOCALI PER L’ECCESSO DI PROROGHE NEGLI APPALTI E NELLE CONCESSIONI

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nella propria riunione del 12 dicembre 2018, ha inteso inviare alle Autorità competenti una segnalazione svolgendo alcune considerazioni, ai sensi degli articoli 21 e 22 della legge 10 ottobre 1990, n. 287, sullo stato attuale delle concessioni amministrative in Italia e sulle principali criticità Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato concorrenziali riscontrate in alcuni mercati a seguito dell’utilizzo a volte distorto dello strumento concessorio. L’Autorità ha già avuto modo di segnalare in passato come le concessioni, ampiamente utilizzate nel nostro ordinamento, possano causare gravi distorsioni della concorrenza, non sempre giustificate da esigenze di interesse generale1 . Nonostante l’importante evoluzione del quadro normativo eurounitario e nazionale frattanto intervenuta, che ha portato all’adozione di una più organica disciplina in materia di appalti e concessioni2 , permangono ancora oggi diverse criticità concorrenziali legate sia all’effettivo ricorso a procedure ad evidenza pubblica da parte delle amministrazioni concedenti, sia al perimetro e alla durata delle concessioni, non del tutto rispondenti alle esigenze del mercato.

Un settore particolare sul quale si è appuntata l’attenzione dell’Autorità e che interessa da vicino gli enti locali è quello della distribuzione del gas. Il d.lgs. 23 maggio 2000, n. 164, di liberalizzazione del settore del gas, aveva previsto che il servizio di distribuzione del gas fosse affidato esclusivamente mediante gara per un periodo non superiore a 12 anni,
stabilendo una scadenza anticipata di tutte le concessioni esistenti la cui
durata eccedesse un periodo transitorio di cinque anni a decorrere dal 31 dicembre 200030. In base a tale previsione, tutte le concessioni esistenti sarebbero dunque scadute ex lege al più tardi alla fine del periodo transitorio.
Era altresì previsto che il gestore uscente restasse comunque obbligato a
proseguire la gestione del servizio, limitatamente all’ordinaria
amministrazione, fino alla data di decorrenza del nuovo affidamento31. In ottemperanza al d.lgs. n. 164/00 alcuni Comuni nei quali le concessioni di distribuzione erano scadute hanno proceduto a nuove assegnazioni con gara.
Successivamente, con il d.l. 1° ottobre 2007, n. 159, le concessioni
comunali sono state accorpate in concessioni d’ambito32 e sono stati
individuati 177 ambiti (c.d. ATEM)33. Le gare d’ambito, articolate in otto
scaglioni (ciascuno ricomprendente un gruppo di ambiti), avrebbero dovute essere espletate entro determinate date (da 6 a 42 mesi dall’entrata in vigore del decreto).

Tuttavia, sia queste scadenze che le penalità previste in caso di
mancato rispetto delle stesse sono state più volte modificate. Da ultimo,
l’art. 3 del d.l. 30 dicembre 2015, n. 210, ha introdotto ulteriori termini e ha previsto che in caso di mancata indizione delle gare d’ambito entro tali
termini, la Regione competente assegni ulteriori sei mesi per adempiere,
decorsi i quali avvia la procedura di gara attraverso la nomina di un
commissario ad acta; e che decorsi ulteriori due mesi, il MISE subentri alla Regione inadempiente, nominando esso stesso un commissario ad acta.
Attualmente, fatta eccezione per le citate concessioni comunali
assegnate con gara secondo quanto previsto dal d.lgs. n. 164/00 e ancora
vigenti, le concessioni esistenti sono tutte scadute ope legis ed esercite in
regime di proroga. Si conta un’unica gara aggiudicata ai sensi della nuova normativa (quella dell’ATEM Milano 1) e pochissime altre per le quali la procedura è stata almeno avviata.
Per una significativa quota di ATEM che non includono Comuni
capoluoghi di provincia non è stata neanche individuata la stazione
appaltante, mentre per oltre il 95% degli ATEM risultano scaduti entrambi i termini per l’esercizio del potere sostitutivo da parte rispettivamente della Regione e del MISE. Soltanto la Regione Calabria risulta aver nominato un commissario ad acta per i tre ATEM in cui le stazioni appaltanti sono state inadempienti agli obblighi di gara.

IN SENATO LA RATIFICA DELLA CONVENZIONE DEL CONSIGLIO D’EUROPA SUL VALORE DEL PATRIMONIO CULTURALE FIRMATA A FARO NEL 2005

Dal giorno 9 gennaio inizierà al Senato l’esame del disegno di legge 257 per la ratifica ed esecuzione della Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, fatta a Faro il 27 ottobre 2005.

Il disegno di legge 257 ripropone il testo dell’Atto Senato 2885 presentato dal Governo Gentiloni nella XVII legislatura. Analogo testo era stato presentato dalla senatrice Ferrara ed altri senatori (Atto Senato 2795).

La Commissione affari esteri del Senato aveva approvato il disegno di legge l’11 ottobre 2017.

Purtroppo la fine anticipata della legislatura non ne ha consentito l’approvazione definitiva.
Da quanto si legge nella relazione si tratta di un provvedimento condiviso e atteso da molto tempo per il quale si auspica la convergenza di tutte le forze politiche e quindi una rapida approvazione.
La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società, adottata a Faro, in Portogallo, il 27 ottobre 2005, è entrata in vigore nell’ottobre 2011, al raggiungimento del decimo strumento di ratifica. Il documento è stato ad oggi ratificato da 17 Paesi membri del Consiglio d’Europa, Armenia, Austria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Georgia, Lettonia, Lussemburgo, Montenegro, Norvegia, Portogallo, Moldova, Serbia, Slovacchia, Slovenia, ex Repubblica Jugoslavia di Macedonia, Ucraina e Ungheria. L’Italia lo ha firmato il 27 febbraio 2013. La Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la società si fonda sul presupposto che la conoscenza e l’uso dell’eredità culturale rientrino pienamente fra i diritti umani, ed in particolare nell’ambito del diritto dell’individuo a prendere liberamente parte alla vita culturale della comunità, come espressamente previsto dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali del 1966.
La Convenzione di Faro intende promuovere una comprensione più ampia del patrimonio culturale e del suo rapporto con le comunità, incoraggiando a riconoscere l’importanza degli oggetti e dei luoghi in ragione dei significati e degli usi loro attribuiti sul piano culturale e valoriale. La partecipazione dei cittadini rappresenta un elemento imprescindibile per accrescere in Europa la consapevolezza del valore del patrimonio culturale e del suo contributo al benessere e alla qualità della vita. In questo contesto, gli Stati sono chiamati a promuovere un processo di valorizzazione partecipativo, fondato sulla sinergia fra pubbliche istituzioni, cittadini privati, associazioni.
La Convenzione di Faro, aperta alla firma degli Stati membri del Consiglio d’Europa il 27 ottobre 2005 a Faro (Portogallo), nasce dal confronto fra quaranta Stati europei sui danni al patrimonio culturale causati dai recenti conflitti verificatisi in Europa.
Il dibattito fu avviato con la 4a Conferenza dei Ministri responsabili del patrimonio culturale degli Stati membri del Consiglio d’Europa «Patrimonio, identità e diversità» (Helsinki, maggio 1996). A seguito della 5a Conferenza dei Ministri europei competenti in materia di patrimonio culturale (Portorož, aprile 2001), i delegati dei Ministri incaricarono quindi il Comitato direttivo del patrimonio culturale e del paesaggio (CDPAT) di redigere un progetto di protocollo addizionale alla Convenzione sulla salvaguardia del patrimonio architettonico d’Europa (Granada, 1985) e, se necessario, alla Convenzione sul patrimonio archeologico d’Europa (La Valletta, 1992).

Le prime consultazioni portarono alla conclusione che tali protocolli non avrebbero offerto una base sufficientemente ampia per il perseguimento di questi obiettivi. Si passò quindi a tracciare un nuovo strumento giuridico, dove fosse riconosciuta l’importanza vitale dei valori della cultura e del patrimonio culturale per tutti gli aspetti della vita, nel contesto della nuova situazione politica europea e della mondializzazione, aperto, quindi, anche oltre l’Europa.
Nel gennaio 2003 i delegati dei Ministri approvarono quindi il mandato di un Comitato ristretto di esperti, dipendente dal CDPAT, per la redazione di un progetto di Convenzione quadro concernente il patrimonio culturale.
Il Comitato si vide assegnare diversi obiettivi:

a) raggiungere un accordo su una concezione allargata e interdisciplinare di patrimonio culturale e sulla nozione di un patrimonio europeo comune, affermando il principio del diritto d’accesso di ogni persona al patrimonio culturale a sua libera scelta e nel rispetto dei diritti e libertà dell’altro;

b) stabilire il principio del giusto trattamento delle testimonianze che coesistono sul territorio europeo e che rappresentano le sue diverse tradizioni culturali;

c) impegnare gli Stati firmatari a introdurre politiche sul patrimonio culturale e iniziative in materia d’istruzione per promuovere il dialogo interculturale e interreligioso e la comprensione reciproca delle differenze, al fine di prevenire i conflitti;

d) stabilire un contesto paneuropeo di cooperazione per la definizione comune di criteri di sviluppo sostenibile che considerino le conoscenze e il «know-how» come risorsa per lo sviluppo;

e) impegnare gli Stati firmatari ad applicare modalità di gestione fondate sulla partecipazione di tutti gli attori nella società;

f) formulare proposte per il monitoraggio della Convenzione.

Il testo della Convenzione fu redatto nel corso del 2003 e del 2004 dal Comitato ristretto, prendendo in considerazione le osservazioni che provenivano da altri comitati interessati. Il progetto di Convenzione è stato infine definito da un gruppo di lavoro del CDPAT, integrando le proposte formulate nel corso della sessione plenaria nell’ottobre 2004 e alcuni lievi emendamenti apportati dal Bureau ampliato del CDPAT. Il testo è stato quindi approvato dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa il 13 ottobre 2005 e aperto alla firma il 27 ottobre 2005 a Faro (Portogallo).
La Convenzione quadro per il valore del patrimonio culturale per la società disegna un quadro di riferimento per le politiche sul patrimonio culturale attraverso la definizione dei diritti e delle responsabilità in questo settore, nonché la messa in luce degli effetti positivi che possono derivare dal suo impiego, in sinergia con gli strumenti del Consiglio d’Europa per la salvaguardia del patrimonio archeologico e architettonico.
La Convenzione si colloca in una posizione diversa rispetto alle precedenti convenzioni sul patrimonio culturale nate in seno al Consiglio d’Europa, che si concentrano sulla necessità di conservare il patrimonio culturale e sul modo di proteggerlo. La Convenzione adotta, infatti, un nuovo approccio, enumerando molti mezzi per utilizzare il patrimonio culturale nel suo complesso e chiarendo le ragioni per le quali merita di essere valorizzato. Pur includendo la tutela e la conservazione fra le azioni prioritarie, focalizza l’attenzione anche su altri temi:

a) il diritto al patrimonio culturale come facoltà di partecipare all’arricchimento o all’incremento del patrimonio stesso e di beneficiare delle attività corrispondenti, con riferimento agli ideali e princìpi fondatori del Consiglio d’Europa, e al diritto della persona a prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, nel rispetto dei diritti e delle libertà altrui sancito nella Dichiarazione universale dei diritti umani (Parigi, 10 dicembre 1948) e garantito dal Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (New York, 16 dicembre 1966);

b) lo sviluppo sostenibile: il patrimonio culturale costituisce un valore in sé stesso ed è anche una risorsa preziosa per l’integrazione delle varie dimensioni dello sviluppo culturale, ecologico, economico, sociale e politico;

c) il dialogo e l’apertura tra culture: il patrimonio culturale è una risorsa sulla base della quale sviluppare il dialogo, il dibattito democratico e l’apertura tra culture;

d) la mondializzazione: il patrimonio culturale è una risorsa per la protezione della diversità culturale e la necessità di mantenere un legame con il territorio di fronte alla standardizzazione crescente;

e) la partecipazione e la crescita della sinergia di competenze fra tutti gli attori nel campo del patrimonio culturale, le pubbliche istituzioni, le associazioni e i cittadini privati.

La Convenzione si articola nel preambolo e in cinque Parti:

1) obiettivi, definizioni e princìpi;

2) il contributo del patrimonio culturale allo sviluppo dell’essere umano e della società;

3) responsabilità condivisa nei confronti del patrimonio culturale e partecipazione del pubblico;

4) controllo e cooperazione;

5) clausole finali.

http://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01067666.pdf

EMERSIONE DI DEBITI FUORI BILANCIO, PER LA COPERTURA DI PERDITE PREGRESSE NON RIPIANATE DEL SISTEMA SANITARIO, ATTRAVERSO ACCANTONAMENTO NEL RISULTATO D’AMMINISTRAZIONE (ART. 73 E 20 D.LGS. 118/2011)

ROMA – CORTE DEI CONTI – CORTILE INTERNO

La Sezione delle Autonomie della corte dei Conti in data 21 dicembre 2018 con deliberazine n. 24 ha enunciato il seguente principio:

“Nell’ipotesi in cui, a esercizio concluso, nelle more della redazione del rendiconto generale della Regione, emergano passività che sarebbero state riconducibili all’esercizio da rendicontare o precedenti, non è in contrasto con i fondamentali principi di veridicità, integrità e trasparenza del bilancio, l’iscrizione nel risultato d’amministrazione di una posta contabile di segno negativo corrispondente alle passività accertate. L’ente dovrà provvedere tempestivamente alle necessarie variazioni del bilancio dell’esercizio in corso per garantire la copertura del disavanzo con gli strumenti previsti dall’ordinamento contabile.”