I COMUNI POSSONO ESERCITARE ANCHE I SERVIZI DI INTERESSE ECONOMICO E GESTIRLI CON LA PROPRIA ORGANIZZAZIONE

Il TAR Liguria, Sez. I, con una sentenza del 9 novembre 2021, n. 946 è intervenuto sull’annoso problema della gestione dei servizi comunali decidendo che anche quelli a rilevanza economica possano essere gestiti direttamente dal Comune con la propria organizzazione e il proprio personale.

Si tratta di una sentenza molto interessante che innova su una materia molto importante.

In particolare il Collegio ha affermato quanto segue:

“…per quanto concerne il quadro normativo nazionale (artt. 112 e 113 del d.lgs. n. 267/2000), è pacifico che attualmente non sussiste alcun obbligo degli enti locali di affidare a terzi sul mercato i servizi pubblici di rilevanza economica, potendo senz’altro optare per la gestione in via diretta (tale assunto è oggi unanimemente condiviso, essendo venuta meno l’originaria previsione che consentiva l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica solamente a società miste o ad imprese private selezionate con gara, oppure, in presenza dei relativi presupposti, ad enti in house: sul punto cfr., ex multis, Cons. St., sez. V, 27 maggio 2014, n. 2716; Cons. St., sez. VI, 18 dicembre 2012, n. 6488, cit.; T.A.R. Lazio, sez. II-ter, 22 marzo 2011, n. 2538).

Né un simile obbligo è rinvenibile nel diritto europeo, che configura la gestione diretta o tramite società in house come modulo generale alternativo all’affidamento a terzi mediante selezione pubblica.

Segnatamente, il quinto “considerando” della direttiva 2014/24/UE in materia di appalti pubblici precisa che “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi dagli appalti pubblici”.

Inoltre, ai sensi dell’art. 2, par. 1, della direttiva 2014/23/UE sull’aggiudicazione dei contratti di concessione, “le autorità nazionali, regionali e locali possono liberamente organizzare l’esecuzione dei propri lavori o la prestazione dei propri servizi in conformità del diritto nazionale e dell’Unione…Dette autorità possono decidere di espletare i loro compiti d’interesse pubblico avvalendosi delle proprie risorse o in cooperazione con altre amministrazioni aggiudicatrici o di conferirli a operatori economici esterni”.

È peraltro vero che, ai sensi dell’art. 192, comma 2, del d.lgs. n. 50/2016, per affidare ad una società in house un contratto avente ad oggetto un servizio remunerativo, l’Amministrazione deve dare conto delle ragioni del mancato ricorso al mercato e dei benefici per la collettività. Come noto, infatti, il legislatore nazionale ha approntato una disciplina pro concorrenziale più rigorosa rispetto a quanto richiesto dalla normativa comunitaria, in quanto non limitata a garantire la concorrenza “nel mercato” attraverso le procedure competitive, ma estesa alla concorrenza “per il mercato” attraverso il predetto onere motivazionale (cfr., ex aliis, Corte cost., 27 maggio 2020, n. 100).

Tuttavia, tale supplementare obbligo di motivazione non pare estensibile all’internalizzazione pura e semplice del servizio pubblico, ossia con assunzione della gestione direttamente in capo agli uffici comunali, in quanto non espressamente previsto dalla citata disposizione, né ricavabile dal diritto dell’Unione (sul punto si veda Corte di Giustizia UE, 9 giugno 2009, C-480/06, secondo cui un’autorità pubblica può adempiere ai compiti di interesse pubblico ad essa incombenti mediante propri strumenti senza fare ricorso ad entità esterne, non contrastando tale modalità con la tutela della concorrenza, poiché nessuna impresa privata viene posta in una situazione di privilegio rispetto alle altre).

Sotto altro profilo si osserva che la gestione diretta del bene demaniale da parte dell’Amministrazione è la modalità fondamentale per garantirne l’uso generale, che, a sua volta, costituisce la regola (in tal senso Cons. St., sez. V, 2 marzo 2018, n. 1296, relativa proprio ad un porticciolo turistico, secondo cui una condivisibile giurisprudenza ha ripetutamente individuato la finalità basilare dei beni pubblici come funzione di interesse generale e ciò specificamente per quei beni che assolvono la propria funzione sociale servendo immediatamente non la pubblica amministrazione, ma la collettività ed in particolare i suoi componenti che sono ammessi a godere indistintamente in modo diretto: tale uso è denominato uso generale e la gestione diretta da parte del titolare del bene demaniale – quello marittimo ne è un esempio tra i più tipici – costituisce l’estrinsecazione fondamentale per garantire alla collettività il predetto uso generale”).

In proposito, il Collegio non ignora che, secondo una ricostruzione interpretativa, nella fattispecie in esame non potrebbe configurarsi un uso generale del bene demaniale, non essendovi un godimento indiscriminato da parte della cittadinanza (come avviene, ad esempio, per le spiagge libere): donde risulterebbe necessaria la procedura comparativa ex art. 37 cod. nav. anche laddove l’Amministrazione intenda gestire direttamente il porticciolo. Diversamente, l’ente può sempre assumere in capo a sé l’esercizio dei beni del patrimonio indisponibile, quali gli impianti sportivi di proprietà comunale, ai sensi dell’art. 826, ultimo comma, cod. civ.

Deve tuttavia evidenziarsi che, negli anni più recenti, è stata elaborata una nozione unitaria di “bene pubblico”, che ricomprende entrambe le categorie dei beni demaniali e patrimoniali indisponibili e si caratterizza per la “vocazione” a soddisfare interessi generali (c.d. proprietà-funzione).

In tale prospettiva, la prospettata differenziazione fra le due tipologie di beni, ai fini della scelta delle modalità di gestione, si appalesa, a ben vedere, ingiustificata ed irragionevole.

Autore: francobrugnola

Scrittore, mi occupo prevalentemente degli enti locali e di sanità, settori nei quali ho lavorato molti anni come dirigente.

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