CONDANNATO UN CITTADINO CHE REGISTRAVA UNA SEDUTA DEL CONSIGLIO COMUNALE SENZA AUTORIZZAZIONE

La trasparenza in questo Paese è ancora agli albori e abbiamo molta strada da fare.

Ne è prova la recente sentenza della Corte Suprema di Cassazione, Sesta sezione penale n. 28950 pronunciata il 17 settembre 2020 con la quale un cittadino (non autorizzato preventivamente ad effettuare la registrazione della seduta) è stato condannato per interruzione di pubblico servizio per aver continuato a registrare una seduta consiliare, nonostante l’invito del Sindaco a spegnere l’apparecchio.

Il cittadino ha sbagliato a non rispettare l’ordine del Sindaco, ma che male stava facendo ?

GIUNTE E CONSIGLI COMUNALI IN VIDEOCONFERENZA FINO ALLA FINE DELL’EMERGENZA

Il Consiglio dei Ministri si è riunito ieri lunedì 16 marzo 2020, alle ore 12.05 a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente Giuseppe Conte. Segretario il Sottosegretario alla Presidenza Riccardo Fraccaro ed ha adottato un nuovo decreto legge.

Tra i provvedimenti adottati c’è la possibilità, fino alla fine dello stato d’emergenza,  per i consigli dei comuni, delle province e delle città metropolitane e le giunte comunali, di riunirsi in videoconferenza.

In questo modo si prevede di evitare il contagio.

Naturalmente, a causa dell’emergenza salta la possibilità dei cittadini di assistere ai consigli comunali.

IL TAR DEL LAZIO ANNULLA IL DECRETO DI SCIOGLIMENTO DI UN COMUNE

Il TAR del Lazio – Roma, Sezione I, con sentenza n. 3101/2019 è tornato ad occuparsi delle cause di scioglimento degli enti locali. Com’è noto, ai sensi del citato art. 143 TUEL, comma 1, “…i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”.

Il Collegio ricorda che il comma 2 della stessa norma dispone che, al fine di verificare la sussistenza degli elementi di cui al comma 1, anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti ed ai dipendenti dell’ente locale, il prefetto competente per territorio dispone ogni opportuno accertamento, di norma promuovendo l’accesso presso l’ente interessato. In particolare, il prefetto può nominare una commissione d’indagine, composta da tre funzionari della pubblica amministrazione, attraverso la quale esercita i poteri di accesso e di accertamento di cui è titolare per delega del Ministro dell’Interno ai sensi dell’articolo 2, comma 2-quater, del decreto-legge 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 1991, n. 410. Entro tre mesi dalla data di accesso, rinnovabili una volta per un ulteriore periodo massimo di tre mesi, la commissione termina gli accertamenti e rassegna al prefetto le proprie conclusioni.

Sempre il Collegio evidenzia che il comma 3 prevede che, entro il termine di quarantacinque giorni dal deposito delle conclusioni della commissione d’indagine, ovvero quando abbia comunque diversamente acquisito gli elementi di cui al comma 1, ovvero in ordine alla sussistenza di forme di condizionamento degli organi amministrativi ed elettivi, il prefetto, sentito il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica integrato con la partecipazione del procuratore della Repubblica competente per territorio, invia al Ministro dell’Interno una relazione nella quale si dà conto della eventuale sussistenza degli elementi di cui al comma 1 anche con riferimento al segretario comunale o provinciale, al direttore generale, ai dirigenti e ai dipendenti dell’ente locale. Nella relazione sono, altresì, indicati gli appalti, i contratti e i servizi interessati dai fenomeni di compromissione o interferenza con la criminalità organizzata o comunque connotati da condizionamenti o da una condotta antigiuridica. Nei casi in cui per i fatti oggetto degli accertamenti o per eventi connessi sia pendente procedimento penale, il prefetto può richiedere preventivamente informazioni al Procuratore della Repubblica competente, il quale, in deroga all’articolo 329 c.p.p., comunica tutte le informazioni che non ritiene debbano rimanere segrete per le esigenze del procedimento.

Ancora il Collegio, come sopra già ricordato, ha sottolineato come secondo il comma 4 dell’art. 143 TUEL, lo scioglimento è disposto con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri entro tre mesi dalla trasmissione della relazione di cui al comma 3, ed è immediatamente trasmesso alle Camere. Nella proposta di scioglimento sono indicati in modo analitico le anomalie riscontrate ed i provvedimenti necessari per rimuovere tempestivamente gli effetti più gravi e pregiudizievoli per l’interesse pubblico; la proposta indica, altresì, gli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno dato causa allo scioglimento. Lo scioglimento del consiglio comunale o provinciale comporta la cessazione dalla carica di consigliere, di sindaco, di presidente della provincia, di componente delle rispettive giunte e di ogni altro incarico comunque connesso alle cariche ricoperte, anche se diversamente disposto dalle leggi vigenti in materia di ordinamento e funzionamento degli organi predetti.

Sempre in via preliminare il Collegio, non ha ritenuto superfluo richiamare, in linea generale, gli indirizzi di interpretazione e applicazione della normativa in materia, come definiti dalla giurisprudenza costituzionale e amministrativa (Corte Costituzionale, sentenza 19 marzo 1993, n. 103; C. Stato, IV 21 maggio 2007, n. 2583; 24 aprile 2009, n. 2615; VI, 15 marzo 2010, n. 1490; 17 gennaio 2011, n. 227; 10 marzo 2011, n. 1547; III, 19 ottobre 2015, n. 4792, 24 febbraio 2016, n. 748, IV, 3 marzo 2016, n. 876, Tar Lazio, Roma, I, 1° luglio 2013, n. 6492; 21 novembre 2013, n. 9941; 20 marzo 2014, n. 3081).

A tale riguardo, si rammenta che lo scioglimento dell’organo elettivo si connota quale misura di carattere “straordinario” per fronteggiare un’emergenza “straordinaria”.

Nel relativo procedimento sono giustificati ampi margini nella potestà di apprezzamento dell’amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori, pur quando il valore indiziario dei dati non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale, essendo asse portante della valutazione di scioglimento, da un lato, la accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale.

Pertanto, in tale ambito di apprezzamento – secondo il Collegio – rispetto alla pur riscontrata commissione di atti illegittimi da parte dell’amministrazione, è necessario un quid pluris, consistente in una condotta, attiva od omissiva, condizionata dalla criminalità anche in quanto subita, riscontrata dall’amministrazione competente con discrezionalità ampia, ma non disancorata da situazioni di fatto suffragate da obbiettive risultanze che rendano attendibili le ipotesi di collusione, così da rendere pregiudizievole per i legittimi interessi della comunità locale il permanere alla sua guida degli organi elettivi.

Ciò in quanto l’art. 143 TUEL precisa le caratteristiche di obiettività delle risultanze da identificare, richiedendo che esse siano concrete, e perciò fattuali, univoche, ovvero non di ambivalente interpretazione, rilevanti, in quanto significative di forme di condizionamento.

Qualche cenno va ancora riservato alla tipologia dello scrutinio di legittimità rimesso alla presente sede, che, come da costante giurisprudenza, in conseguenza dei profili interpretativi sopra accennati, è esercitabile nei limiti della presenza di elementi che denotino, con sufficiente concludenza, la eventuale deviazione del procedimento dal suo fine di legge.

Con l’avvertenza che l’operazione in cui consiste l’apprezzamento giudiziale delle acquisizioni in ordine a collusioni e condizionamenti non può però essere effettuata mediante l’estrapolazione di singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l’esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo sull’operato consiliare.

Ciò, in quanto, in presenza di un fenomeno di criminalità organizzata diffuso nel territorio interessato dalla misura di cui si discute, gli elementi posti a conferma di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, poiché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l’adozione della misura stessa (C. Stato, IV, 6 aprile 2005, n. 1573; 4 febbraio 2003, n. 562; V, 22 marzo 1998, n. 319; 3 febbraio 2000, n. 585).

Ebbene, nel caso di specie, come sarà precisato in prosieguo, tali presupposti “di insieme” non si rinvengono anche esaminando non atomisticamente gli episodi riportati nelle relazioni sopra richiamate.

Il Collegio ha osservato che manca nel caso di specie, in sostanza, il profilo fondamentale teso a individuare il legame tra l’operato degli amministratori locali e il vantaggio, sia pure indiretto, delle “cosche” locali, attraverso gli evidenziati episodi – commissivi od omissivi – contestati (TAR Lazio, Roma, I, 22 marzo 2018, n. 3187).

A ciò si aggiunga che, se è pur vero cha la stessa giurisprudenza amministrativa ha posto in luce che la misura di cui all’art. 143 cit. non ha natura di provvedimento di tipo “sanzionatorio” ma preventivo, con eminente finalità di salvaguardia dell’amministrazione pubblica di fronte alla pressione e all’influenza della criminalità organizzata e la possibilità di dare peso anche a situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata (Consiglio di Stato, III, 18 ottobre 2018, n. 5970), è altrettanto innegabile che comunque tale funzione “preventiva” non può limitarsi a legittimare una mera e generica operazione deduttiva e astratta, scollegata dai ricordati elementi concreti, univoci e rilevanti idonei a evidenziare una forma diretta o indiretta di condizionamento da parte della malavita organizzata.

Sulla scorta di tutte le coordinate normative, interpretative e giurisprudenziali di cui è stata fatta sin qui sintetica ricognizione può passarsi, quindi, alla disamina del ricorso in esame.

Le questioni sostanziali prospettate dal ricorrente attengono all’asserita inesistenza, nella fattispecie, degli elementi componenti il grave quadro che legittima il ricorso alla misura straordinaria di cui si discute.

Per effettuare tale disamina, va rammentato quanto già sopra visto, in uno alla citata giurisprudenza, ovvero come la ragionevolezza o meno della ricostruzione di una situazione identificabile come presupposto per l’adozione del rimedio previsto dalla disposizione non possa che derivare dalla considerazione unitaria, ovvero dall’esame complessivo, degli elementi presi in considerazione nel procedimento, nell’ottica dell’asserito “condizionamento”.Detti elementi possono essere compiutamente desunti dalla proposta di scioglimento del Ministro dell’Interno.

Infatti, come rilevato dalla Sezione in analoghi contenziosi (ex multis, Tar Lazio, Roma, I, 27 ottobre 2016, n. 10557, 10 luglio 2015, n. 9685, 21 novembre 2013, n. 9941), nell’ambito della complessità dell’iter, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, che caratterizza l’andamento del procedimento ex art. 143 del d.lgs. 267/2000, la relazione ministeriale va identificata come il momento centrale di rappresentazione analitica delle anomalie riscontrate nelle fasi antecedenti alla sua adozione, e, indi, quale vero nucleo espressivo della determinazione tecnica sottostante allo scioglimento.

Nella fattispecie, la proposta di scioglimento formulata dal Ministero dell’Interno riferisce alcuni fatti verificatisi in occasione della locale festa del Santo Patrono i quali, unitamente ad altri elementi emersi in una riunione di coordinamento con le forze di Polizia, hanno determinato l’insediamento della Commissione di accesso.

Dall’attività istruttoria compiuta dall’insediata Commissione sarebbe poi emerso, in un comune ricompreso in un ambito territoriale notoriamente caratterizzato dalla pervasiva presenza di locali organizzazioni criminali, un andamento gestionale dell’amministrazione comunale nel quale l’uso distorto della cosa pubblica si sarebbe concretizzato nel favorire soggetti o imprese collegati, direttamente o indirettamente, ad ambienti malavitosi.

In primo luogo la Giunta presenterebbe una sostanziale continuità amministrativa con la compagine eletta nel 2010.

Il sindaco, inoltre, gravato da diversi precedenti di polizia, lavorerebbe alle dipendenze di soggetti contigui alla criminalità organizzata.

Più in generale, una fitta rete di parentele, affinità, amicizie e frequentazioni con esponenti delle locali consorterie criminali riguarderebbe sia alcuni amministratori sia alcuni componenti dell’apparato burocratico.

Particolare enfasi è dedicata alla vicenda della mongolfiera che si è innalzata in volo durante i festeggiamenti del -OMISSIS-, sulla quale, oltre il nome del Santo, compariva il nome di una famiglia “mafiosa”.

In tale occasione, rileva la relazione ministeriale, la giunta non avrebbe condannato né stimmatizzato l’episodio, rilasciando, per contro, dichiarazioni tendenti a minimizzare l’accaduto.

La proposta rileva poi come ulteriori elementi sintomatici della ricorrenza di cointeressenze tra amministratori e cosche locali si trarrebbe dall’esame delle procedure di appalto, spesso disposte con procedure di somma urgenza o affidamento diretto in assenza dei presupposti di legge.

A tal fine rileverebbero:

la presenza, durante l’esecuzione dell’appalto per l’affidamento dei lavori per la pulizia di un canale d’acqua e per la manutenzione ordinaria e straordinaria di strade comunali, di un soggetto pluripregiudicato, il quale avrebbe tenuto un atteggiamento da supervisore;

– l’affidamento, nel 2013, del servizio di raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi urbani a una ditta che, nel 2016, sarebbe stata raggiunta da un’interdittiva antimafia; l’affidamento del 2013, come peraltro rilevato pure dall’Anac, era avvenuto in assenza di gara;

l’affidamento, avvenuto in violazione delle normativa di settore, dei lavori di efficientamento energetico degli istituti scolatici, peraltro disposto a favore di una ditta già affidataria di altri appalti comunali e il titolare della quale, gravato da numerosi precedenti di polizia e da frequentazioni con malavitosi, è stato candidato, nella lista del sindaco, nel 2013;

l’affidamento della gestione del cimitero comunale in favore di un soggetto parente di un assessore (in carica fino a ottobre 2014) e affine di un consigliere comunale, legato da parentela a un pluripregiudicato; l’offerta, peraltro, sarebbe stata materialmente formulata dal responsabile di una delle aree amministrative dell’ente locale;

la mancata adozione di provvedimenti sanzionatori in ordine alla gestione, in assenza di autorizzazione e su terreno appartenente a un noto pregiudicato affiliato a un’organizzazione criminale, del mercato domenicale;

la concessione di un consistente contributo economico in favore di una società sportiva in passato amministrata da un assessore comunale.

Il quadro indiziario descritto nella proposta ministeriale, va completato con l’esame della relazione prefettizia, che la prima richiama come sua “parte integrante”.

Il Prefetto, dopo aver descritto, con riferimento ai personaggi e alle famiglie coinvolte, il panorama criminale di -OMISSIS-, rileva come già nel 2009 fu disposto un accesso nel comune di -OMISSIS- a seguito dell’operazione “-OMISSIS-”, diretta dalla DDA.

La relazione stessa riferisce, tuttavia, che il giudizio penale che ha fatto seguito all’indagine si è concluso con la condanna del -OMISSIS- e di altri pregiudicati e l’assoluzione dei “colletti bianchi” coinvolti.

L’esposizione continua esaminando le figure degli assessori e dei consiglieri comunali, che il Prefetto rileva essere spesso legati tra di loro da vincoli familiari o amicali e sostanzialmente privi di una precisa collocazione ideologica partitica, tale da consentire loro frequenti cambi di schieramento, riferendo, per alcuni di essi, l’esistenza di pregiudizi penali e di legami con pregiudicati.

La relazione esamina, infine, le criticità in materia di appalti già evidenziate nella proposta ministeriale, che vengono descritte in maniera più dettagliata e alle quali si aggiungono : a) la vicenda riguardante la “-OMISSIS-” (che avrebbe alle sue dipendenze la moglie e il genero di un “capoclan”, un altro soggetto vicino a un “clan” e il cognato di un ex consigliere comunale di maggioranza e che avrebbe continuato a gestire il verde pubblico sulla base di una serie di proroghe, sebbene, a seguito di gara, fosse stato individuato il nuovo aggiudicatario); b) l’acquisto, con procedura di affidamento diretto, di forniture per il corpo dei vigili urbani dalla “-OMISSIS-”, i cui gestori sarebbero stati, uno, arrestato per usura nel 2005 e, l’altro, più volte controllato con “boss” mafiosi e pregiudicati; c) l’affidamento di un appalto alla “-OMISSIS-”, l’amministratore unico della quale avrebbe precedenti di polizia e sarebbe fratello di un sacerdote che nel 2016 aveva invitato i cittadini a partecipare alla messa in suffragio di un boss assassinato in Canada; d) la concessione di contributi pubblici a favore della cooperativa “-OMISSIS-”, società che gestisce una scuola dell’infanzia e il cui legale rappresentante è la moglie di un consigliere comunale eletto nelle liste dell’opposizione e poi transitato nelle fila della maggioranza.

L’esame del quadro delineato nella proposta in esame, analizzato alla luce delle emergenze processuali, fa emergere la fondatezza della censura ricorsuale inerente la carenza, nella fattispecie, dei presupposti per lo scioglimento degli organi elettivi locali.

Per arrivare a tale conclusione, va rammentato che, alla stregua delle ridette coordinate ermeneutiche, se è vero che gli elementi concreti, univoci e rilevanti che legittimano il ricorso al rimedio ex art. 143 cit. non devono necessariamente ridondare in attività di rilievo penale, è pur vero che essi non possono non dimostrare quella consistenza e unidirezionalità necessarie a permettere una fondata percezione della loro forte e decisa valenza rivelatrice dei collegamenti esistenti tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata e dei conseguenti condizionamenti sull’attività amministrativa.

E tutto ciò nella fattispecie non è dato osservare, a partire dalla stessa struttura motivazionale della relazione prefettizia.Questa, pur dando atto, nelle sue premesse, del fatto che l’operazione “-OMISSIS-” – nella quale erano stati inizialmente coinvolti, unitamente a soggetti riconducibili ai locali clan, anche alcuni assessori – si è conclusa con la condanna dei soli indagati per reati di criminalità organizzata e con l’assoluzione degli amministratori coinvolti, basa poi una parte preponderante delle sue argomentazioni proprio sugli assunti della detta operazione riguardanti gli amministratori a suo tempo indagati e poi assolti.

In particolare, la prospettazione accusatoria formulata in sede di indagine viene utilizzata sia per definire il profilo dei singoli consiglieri e assessori, sia per provare le frequentazioni problematiche degli altri amministratori laddove abbiano con i primi rapporti amicali o di consuetudine.

Né può qui rilevare il dato, evidenziato dalla difesa erariale, per cui la misura di rigore adottata “interviene … ancor prima che si determinino i presupposti per il procedimento penale o anche del procedimento di prevenzione”, atteso che, nel caso in esame, contrariamente a quanto accade nella maggior parte dei casi, nei quali il provvedimento dissolutorio è adottato in ragione e in concomitanza con l’inizio dell’indagine penale, la pronuncia assolutoria, relativa all’accertamento dei fatti e non solo alla loro qualificazione giuridica, era già intervenuta prima dell’adozione del provvedimento amministrativo di scioglimento.

La relazione, peraltro, si limita a riportare i fatti a suo tempo contestati in sede penale, senza farsi carico di evidenziare un disvalore sintomatico degli stessi, ulteriore rispetto a quello non ritenuto ricorrente nella sede penale.E’ in proposito significativo il fatto che, dallo stesso verbale del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica del 27 giugno 2017 (allegato sub 4 alla produzione versata in atti dalle amministrazioni resistenti in adempimento dell’ordinanza collegiale), emerge come, in tale sede, dalla lettura della relazione della Commissione d’accesso, “non” erano “emersi riscontri giudiziari nei confronti della compagine politico – amministrativa comunale, eccetto quelli rivenienti dall’Operazione anticrimine “-OMISSIS-” del 2009”, così che “l’attività del collegio è stata anche indirizzata alla verifica della permanenza, nell’attuale scenario politico di -OMISSIS- di personaggi in qualche modo coinvolti nella suddetta operazione di p.g.”.

In sostanza la valenza probante di uno dei pilastri argomentativi dell’intero provvedimento, il coinvolgimento di alcuni amministratori nell’operazione -OMISSIS-, risulta estremamente ridimensionato dagli stessi atti istruttori che ne hanno preceduto l’adozione.

Sempre con riferimento alle premesse della relazione va poi considerato il fatto che la relazione riferisce di un accesso disposto nel 2009, a seguito dell’inizio della citata indagine “-OMISSIS-”, ma non menziona l’avvenuta adozione di un provvedimento dissolutorio ai sensi dell’art. 143; ciò che dequota ulteriormente l’utilità di dati meno recenti, sia pure alla luce della molto enfatizzata continuità delle diverse giunte.

Il dato della continuità, peraltro, è espressamente riferito alla giunta eletta nel 2010 e, quindi, in tempo successivo all’operazione “-OMISSIS-”, e non è, come sostenuto dal ricorrente, portatore, di un intrinseco disvalore, né sintomatico, di per sé, dell’esistenza di collegamenti e condizionamenti con la criminalità organizzata.

Indicazioni ulteriori non possono poi essere tratte dal mero richiamo alla collocazione territoriale del comune oggetto della misura dissolutoria.Il contesto territoriale, infatti, nulla dice, di per sé, in ordine all’eventuale collegamento esistente tra gli amministratori di un determinato comune e la criminalità organizzata.

Come già rilevato dalla Sezione in analoghi contenziosi (tra cui Tar Lazio, I, 4 luglio 2013, n. 6609), la natura dello scioglimento quale rimedio di “extrema ratio” volto a salvaguardare beni primari dell’intera collettività nazionale, messi in pericolo o compromessi dalla collusione tra amministratori locali e criminalità organizzata o dal condizionamento comunque subito dai primi, non fronteggiabile con altri apparati preventivi o sanzionatori dell’ordinamento, ovvero, in altre parole, lo stesso obiettivo di ripristino delle condizioni di legalità che il legislatore assegna alla misura in presenza delle condizioni eccezionali tratteggiate dall’art. 143 TUEL, richiede che l’intervento sia posto in essere solo laddove l’influenza della criminalità organizzata sugli organi elettivi dell’amministrazione locale sia fondatamente e univocamente percepibile, risolvendosi altrimenti l’applicazione della norma in un’inammissibile ingerenza dello Stato nei governi locali.

Ne consegue imprescindibilmente che, nell’apprezzamento della eventuale sussistenza delle ridette condizioni eccezionali, nessuna realtà locale (quale specificamente quella di -OMISSIS-, sita in provincia di Bari) debba scontare in linea di principio ovvero pregiudizialmente la mera appartenenza a un più vasto territorio, ritenuto, sotto il profilo giuridico, ma anche sotto quello storico, pervasivamente interessato dalla presenza di fenomeni criminali radicati e organizzati nel territorio.Diversamente opinandosi, un ordinamento democratico e pluralistico, quale quello vigente, non potrebbe tollerare la stessa esistenza del considerato potere di intervento centrale, autoritativo e “ab externo”, sugli organi locali (TAR Lazio, n. 6609/13 cit.).

Può aggiungersi, del resto, che per le stesse ragioni, ancorché antiteticamente, altre realtà locali, sia pur ritenute, sempre storicamente, lontane dagli stessi fenomeni per ragioni geografiche, non possono, per ciò solo, e soprattutto nell’attuale nuova conformazione delle strutture criminali, implementatasi in conformità allo sviluppo delle forme di comunicazione e al più elevato grado di complessità delle sottostanti organizzazioni, essere ritenute indenni dalla possibilità di un loro radicamento.

Si deve in sostanza concludere che, in base alle specifiche caratteristiche di ciascuna parte del territorio nazionale, l’accertamento da compiersi ex art. 143 del d.lgs. 267/2000, ai fini del suo positivo riscontro di legittimità in via giudiziale, deve necessariamente far trasparire l’esistenza di un modello di collegamento diretto o indiretto tra amministratori e criminalità organizzata di tipo mafioso o similare ovvero di forme di condizionamento dei primi, che possono anche riflettersi, caso per caso, in una diversa conformazione degli elementi che denotano la presenza delle condizioni patologiche che determinano i gravi effetti negativi nella gestione della cosa pubblica richiamati dalla disposizione, ma che non può che essere identico nell’apprezzamento della consistenza degli elementi stessi, che, laddove conduca allo scioglimento dell’organo elettivo locale, deve dar conto in ogni caso della loro concretezza, univocità e rilevanza.

Medesima assenza di significatività, lamentata dal ricorrente con l’atto introduttivo e con i motivi aggiunti, va ravvisata con riferimento agli elementi che la relazione individua quali atti a definire la figura del sindaco.

E infatti, la stessa relazione prefettizia dà conto del fatto che la denuncia a carico del -OMISSIS- per i reati di cui agli artt. 110, 56 e 319 quater c.p. si è conclusa con una pronuncia di assoluzione per non aver commesso il fatto.

Come argomentato nei motivi aggiunti, peraltro, la motivazione dell’assoluzione, che scredita fortemente la figura della denunciante, fornisce argomenti anche per contestare la ritenuta sintomaticità della medesima accusa, ancora pendente e per i medesimi fatti, in capo al consigliere Prestipilo.

Ancora con riferimento al sindaco, la relazione riferisce come la società della quale questi è dipendente annovera, quale ex socio ed attuale dipendente, -OMISSIS-, figlia e sorella di appartenenti all’omonimo “clan” locale.

Sulla valenza probatoria della vicenda, tuttavia, è rimasto incontestato quanto riferito dal ricorrente in ordine al fatto che i soci della ditta per cui lavora non sono pregiudicati, che il precedente socio, oggi dipendente, è a sua volta gravato da meri “pregiudizi” penali, ma non da precedenti in senso tecnico, e che, a seguito dell’elezione, egli ha chiesto di essere collocato in aspettativa.

Come poi sostenuto nei motivi aggiunti, non può attribuirsi particolare rilievo ai “precedenti di polizia” menzionati a carico del ricorrente, atteso che gli stessi, anche ove molto risalenti, non risultano aver dato luogo a sentenze di condanna.

L’argomento della radicale differenza tra la mera segnalazione di polizia e la condanna in sede penale, peraltro, è spesa dal ricorrente con riferimento alle numerose e diverse segnalazioni a carico dei vari consiglieri, al fine di evidenziare la sostanziale inconsistenza dei rilievi a questi mossi.

In proposito occorre rilevare come effettivamente la relazione conferisca a tali dati grande rilievo, tanto che gli stessi costituiscono, nella maggior parte dei casi, gli unici elementi riferiti.

Né maggior consistenza presentano le indicazioni delle frequentazioni, atteso che le stesse, ove presenti, fanno riferimento a rapporti di consuetudine con altri membri della giunta o del consiglio (coinvolti nell’operazione -OMISSIS- e poi assolti) e a incontri con pregiudicati, la descrizione dei quali, pur nella sede più analitica costituita dal verbale della Commissione d’accesso, presenta, tuttavia, un alto tasso di assertività e uno scarso tasso di dettaglio, tale da non consentire all’interprete di vagliarne la significativa reiterazione e la collocazione nel tempo.

Ne deriva la generale ravvisabilità della censurata ricorrenza, nella proposta ministeriale e nella relazione prefettizia, di formule generiche e assertive, evocative di collegamenti e cointeressenze degli amministratori locali con la criminalità organizzata, non puntualmente correlate a dati fattuali e concreti, spesso tautologicamente ripetuti per rafforzare la reciproca valenza argomentativa.

Ciò non corrisponde, tuttavia, al paradigma normativo disegnato dall’art. 143 del Tuel atteso che la delicata attività di ricostruzione del presupposto “soggettivo” dello scioglimento del consiglio comunale, pur risultando operata nell’esercizio di ampia discrezionalità, richiede sempre “un costante e concreto aggancio ad elementi rilevanti ed univoci che, pur non assurgendo al rango di prova, contribuiscono ad indicare un percorso di ragionevolezza valutativa e di proporzionalità ed adeguatezza della misura adottata”. ”( Consiglio di Stato, sez. IV, 3 marzo 2016, n. 876, nello stesso senso sez. III, 24 febbraio 2016, n. 748, che rileva come “Se è vero, in altri, termini che, ai fini della legittima adozione della misura in esame, non è necessaria la dimostrazione di responsabilità penali degli amministratori locali, è anche vero, tuttavia, che gli indici dell’infiltrazione mafiosa nel Comune devono essere precisi e stringenti, nella loro portata univocamente significativa di un reale e concreto condizionamento della libera determinazione degli organi elettivi comunali da parte delle locali consorterie mafiose […] Perché la decisione in questione possa reputarsi conforme al parametro legislativo che la autorizza, risulta, in definitiva, indispensabile la prova, seppur nella ridotta modalità della raccolta di indizi gravi e concordanti, che la libertà decisoria degli organi elettivi del Comune, che risultano, infatti, colpiti, dalla misura del commissariamento, sia concretamente conculcata e limitata, se non annullata, dall’opera di condizionamento della criminalità organizzativa di stampo mafioso”).

Come osservato in giurisprudenza occorre, cioè, evitare che più elementi “deboli”, raccolti in sede istruttoria “nella ricostruzione dell’interprete, si “stampellino” reciprocamente, con il risultato di produrre un quadro dove la suggestione del disegno complessivo oscuri e nasconda il difetto di elementi concreti, ovvero la loro (incerta) rilevanza ed univocità” (Consiglio di Stato, sez. IV, 3 marzo 2016, n. 876).

Con riferimento poi all’assegnazione dei lavori per l’efficientamento energetico degli edifici scolastici appare condivisibile quanto osservato dal ricorrente nei motivi aggiunti, laddove rileva che la relazione non individua criticità nelle modalità di assegnazione dell’appalto alla “-OMISSIS-”.La ricostruzione del Prefetto, infatti, si limita a richiamare il fatto che il titolare è gravato da “pregiudizi di polizia” per reati comuni e a menzionare, senza utili specificazioni temporali, episodi in cui quest’ultimo è stato controllato in compagnia di pregiudicati affiliati ai locali “clan”.

Quanto poi alla “-OMISSIS-”, affidataria dal 2014 del servizio di igiene urbana e raggiunta nel 2016 da interdittiva antimafia, il ricorrente ha depositato in atti copia dell’ordinanza cautelare di primo grado con la quale è stata respinta la domanda cautelare avverso l’affidamento alla ditta e ha pure dimostrato documentalmente di aver sostituito la ditta appena avuta notizia dell’interdittiva. Con riferimento all’affidamento della gestione cimiteriale, poi la stessa relazione enfatizza l’aspetto dei collegamenti parentali dell’affidataria e l’irregolare formulazione della sua domanda di partecipazione ad opera di un dipendente comunale, ma non riconduce l’affidamento medesimo ad un condizionamento “mafioso”.

I descritti episodi di irregolarità amministrativa risultano in conclusione non inseriti “in un quadro che consenta di collocarle, in modo univoco, come effetti di una situazione di connivenza o di condizionamento, che ad esse teleologicamente orienta l’attività amministrativa”; ciò è indispensabile a fini di distinguere i casi di vero e proprio collegamento e condizionamento da “quelli, purtroppo pur diffusi, di attività amministrativa fortemente contrassegnata da illegittimità e/o illiceità” (così, Consiglio di Stato, sez. IV, 3 marzo 2016, n. 876, nello stesso senso Consiglio di Stato, sez. III, 19 ottobre 2015, n. 4792, che ricorda come “gli elementi dedotti dalla Amministrazione, in assenza del condizionamento di tipo mafioso, non possono giustificare l’adozione del provvedimento straordinario di cui all’art. 143 TUEL secondo i parametri indicati ai paragrafi 6.2., 6.3. e 6.4., prevalendo al riguardo le tutele predisposte a favore del rispetto della volontà popolare e dell’autonomia territoriale. Le misure previste dal suddetto art. 143, infatti, non costituiscono strumento generale a garanzia del corretto funzionamento dell’ente, ma uno strumento specifico per fronteggiare i malfunzionamenti dell’Amministrazione in conseguenza e in dipendenza di rapporti con la criminalità organizzata”).

In conclusione, ad avviso del Collegio gli atti gravati, non sono riusciti ad evidenziare, per assenza di univocità e concretezza delle evidenze utilizzate, la ricorrenza di un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi, tale da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali in quanto tesa a favorire o a non contrastare la penetrazione della suddetta criminalità nell’apparato amministrativo.

LE DIMISSIONI IN VARI MOMENTI DELLA MAGGIORANZA DEI CONSIGLIERI COMUNALI PORTANO ALLA IMPOSSIBILITA’ DELLA SURROGA E ALLO SCIOGLIMENTO DEL CONSIGLIO

GNA TAR,TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE NAPOLI (SUD FOTO)Un interessante caso di scioglimento del Consiglio comunale ci viene da una sentenza del TAR Campania, Napoli, sezione I, del 3 aprile scorso, n. 2131.

Il Comune di Quarto aveva una popolazione superiore ai 10.000 abitanti e, perciò, all’organo consiliare erano assegnati n.24 consiglieri.

Nel corso della consiliatura, detto organo consiliare subiva una prima riduzione del numero dei suoi componenti, da 24 a 17, a causa dell’impossibilità di surrogare i consiglieri dimissionari candidati nella lista del “Movimento 5 Stelle”, assegnataria di 15 seggi.

Nel gennaio 2018, si erano verificate ulteriori dimissioni di consiglieri comunali e, segnatamente, di n.1 consigliere comunale in data 24/01/2018 e di n.6 consiglieri comunali in data 29/01/2018.

Pertanto, il numero dei consiglieri comunali in carica si era ridotto a 10.

A questo punto la Prefettura di Napoli, con decreto  n. 27821 del 5.2.2018 ha disposto la sospensione degli organi del Comune di Quarto e ha proceduto alla nomina del  Commissario prefettizio per la temporanea gestione dell’Ente.

Contro il provvedimento citato hanno presentato ricorso alcuni consiglieri comunali.

Al riguardo il Collegio è stato dell’avviso che nel caso di specie correttamente l’autorità prefettizia ha ritenuto che non potesse farsi luogo alla surroga dei consiglieri dimissionari, per la sopravvenuta impossibilità per l’organo consiliare, a seguito delle dimissioni di 14 consiglieri comunali sui 24 assegnati al Comune di Quarto, di costituirsi regolarmente in sede di prima convocazione.

Ai sensi dell’art.27 del regolamento comunale per il funzionamento del Consiglio Comunale di Quarto, il Consiglio comunale è, infatti, riunito validamente in prima convocazione con la presenza della maggioranza assoluta dei consiglieri assegnati, computandosi a tal fine il Sindaco, e cioè con la presenza di almento13 consiglieri (sui 24 assegnati), laddove il successivo art.28 del medesimo regolamento regola il quorum costitutivo per la regolarità dell’adunanza consiliare in seconda convocazione, fissandolo nella presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati (senza, questa volta, computare il sindaco).

Ciò posto, il Collegio osserva, altresì, che a voler seguire la prospettazione attorea, secondo cui l’astratta possibilità di procedere alla surroga dei consiglieri dimissionari solo in seduta di seconda convocazione – nonostante l’oggettiva impossibilità che l’organo consiliare si riunisca regolarmente in prima convocazione – impedirebbe la configurabilità di un’ipotesi di scioglimento del Consiglio Comunale, dovrebbe concludersi nel senso della sostanziale disapplicazione di una norma regolamentare introdotta dall’ente territoriale, nello svolgimento della autonomia normativa di cui è titolare, a garanzia del corretto funzionamento dei propri organi e, tra questi, di quello maggiormente rappresentativo dello specifico corpo elettorale che fa capo all’ente comunale.

Secondo il Collegio è apparsa, perciò, del tutto condivisibile, proprio su un piano logico-giuridico, la considerazione formulata del TAR Puglia Lecce che, chiamato a pronunciarsi in sede cautelare in relazione ad una vicenda analoga, ha evidenziato che “rientra nella stessa ratio della previsione che distingue tra sedute di prima e seconda convocazione attribuendo preferenza alle prime (per le ragioni di maggior rappresentatività sopra evidenziate) che deve ritenersi insita nel sistema la necessità che, affinché il consiglio possa continuare ad operare senza essere sciolto, esso debba garantire quantomeno in astratto (con la presenza del relativo numero minimo legale) la valida costituzione dell’assemblea in prima convocazione” (TAR Puglia, Lecce, sez. I, 17/01/2015 n.33; cfr. in termini anche TAR Venezia, sez. I, n.1689/2008; cfr. contra Cons. Stato, sez. V, 17 febbraio 2006, n.640).

L’impugnativa, articolata in ricorso principale e ricorso per motivi aggiunti è stata pertanto, respinta.

Bene ha fatto il TAR di Napoli ad assumere una decisione del genere atteso che sempre più spesso diviene difficile se non impossibile la surroga dei consiglieri dimissionari; in questo modo vengono eliminati sul nascere possibili equivoci.

IL TAR LAZIO-ROMA SVOLGE UNA APPROFONDITA DISAMINA DELLE MOTIVAZIONI PE RLO SCIOGLIMENTO DI UN CONSIGLIO COMUNALE

TAR2Lo scioglimento di un Consiglio comunale è sempre un evento traumatico e quindi è giusto che la decisione sia ben ponderata.

Il TAR del lazio – Roma con la recente sentenza n. 3756/2018 ha affrontato il problema in maniera approfondita fissando alcuni principi.

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